domenica 20 aprile 2008

Yo Yo

Su una panchina del parco se ne sta seduto un tipo spento di nome Frank. Sta rimuginando su una cosa importante: la sua data di scadenza.
- Signore mi scusi, – dice Frank ad un uomo che sta arrivando a prendere suo figlio, – come ci si sente ad essere padre?
Il tizio lo guarda stranito.
- Quante volte ti devo dire di non parlare con gli sconosciuti?! – Il padre, un tipo manesco, redarguisce il figlioletto a modo suo, mentre questi nega di aver mai visto il povero Frank prima d’ora e giura che neppure si era accorto che ci fosse.
Infine, pigliato il figlioletto per un braccio, se ne va verso il parcheggio lanciando sguardi e strali all’insegna dell’incolpevole Frank, e lasciandosi alle spalle una scia di improperi rivolti alla madre, colpevole di aver abbandonato suo figlio, almeno a suo dire.
Frank non ci fece caso. Stava passando il peggior momento immaginabile. La vita gli stava sfuggendo di mano ed aveva solo ventanni.
Ora si ritrovava lì con uno Yo Yo in mano, dimenticato dal bimbo che era stato a sua volta dimenticato dalla madre.
Un pensiero tra i tanti, lo stava angosciando. Non diventerà mai padre.
La sua vita terminerà molto presto e lui lo ha saputo solo la mattina stessa.
Ma in fondo che ci voleva per diventare padre? Bastava far innamorare una ragazzina, metterla incinta, e raccontarle che era in partenza per un viaggio senza ritorno, ma prima di partire, aveva voluto lasciarsi alle spalle un ricordino, giusto per far vedere ai posteri che era passato di lì.
Bella idea. Ma troppo lunga da applicare. Il tempo stringe. E la data di scadenza si avvicina.
Doveva elaborare un'altra soluzione. In fondo cosa gli serviva per procreare? L’amore? Non era necessario. Il tempo? Si, ma non più di quello per una scopata. E la terza cosa, fondamentale, una donna da mettere incinta.
- Scusi ha visto mio figlio? Andiamo su, lo Yo Yo che tiene in mano è suo, quindi non faccia il finto tonto.
Bene. La donna era arrivata. Puntuale, quasi fosse un dono per esaudire un suo desiderio.
- Venga signora, si sieda.
- Non ho tempo. A quest’ora mio marito sarà in macchina ad aspettarmi, ed anche parecchio incazzato. Dove si è cacciato mio figlio? Era qui sino a cinque minuti fa!
Frank pensa veloce. Fa un ghigno strano. Infine, cambia tono di voce.
- Se non si siede qui, signora, non lo rivedrà mai più.
La madre, con le guance color del sole al crepuscolo, cominciò a diventare chiara come l’alba, quasi avesse vissuto tutta una notte in un istante.
Si sedette. Mansueta.
- Vede signora…
Facendo ampio ricorso alla fantasia, Frank iniziò un discorso, dove si parlava di affari, denaro, organizzazioni internazionali, per poi finire il monologo raccontando di alcuni strani tizi che frequentavano quel parco, sempre alla ricerca di fiori appena sbocciati.
- Ma con i soldi si può sempre sistemare tutto, - concluse Frank.
La madre, con un filo di voce, rispose che aveva solo mutui a tasso variabile.. e figli da sfamare.
- Lei cosa sarebbe disposta a fare per suo figlio?
Uno sguardo eloquente, fu la risposta che comprendeva ogni possibilità.
E fu così che Frank, brandendo il cellulare come fosse il filo che teneva in vita suo figlio, si fece accompagnare dalla signora nel bagno del parco, dove lei si prodigò al massimo per meritarsi la vita di suo figlio.
Frank non sapeva se questo sarebbe bastato per lasciare un discendente, ma era soddisfatto lo stesso, e quindi stette ai patti. Si recò con la signora al parcheggio, dove da più di mezzora padre e figlio aspettavano la madre sconsiderata che aveva lasciato per 5 minuti il bimbo da solo nel parco.
La madre si precipitò su suo figlio, abbracciandolo. Il padre si precipitò sulla madre, ma non proprio per lo stesso motivo.
Frank, senza alcuna fretta, si gustò la scena in disparte e almeno per qualche momento dimenticò la sua data di scadenza, tenendo la mente occupata a pensare come a volte, mentre una vita si sta spegnendo, un’altra può nascere all'interno di un vespasiano…

giovedì 10 aprile 2008

One Shot

Un baby Jack se ne sta li da solo sul tavolo. Sua madre l’ha abbandonato da poco. E’ stata seccata completamente. Sull’etichetta aveva scritto Jack Daniel’s. Per questo i bimbi portano il suo nome.
Un uomo solo come il suo ultimo bicchiere, se ne stava seduto al bancone del bar, aspettando qualcuno.
Uno qualunque andava benissimo.
“Salve mi chiamo Jack, come il mio whisky.” Disse Jack al primo cliente che si appostò al bancone accanto a lui.
“Sono appena stato lasciato dalla ragazza.”
Il cliente gli chiese se beveva per dimenticare… ma Jack rispose che stava festeggiando. Ed attaccò il disco con la storia.

Quando Jack voleva farsi lasciare da una fidanzata che oramai gli stava troppo stretta, aveva una tecnica infallibile.
Un colpo solo.
L’amore in fondo era per lui una pratica terribilmente monotona e ripetitiva, al limite del ridicolo.
“Basti pensare a due cani per strada…” diceva Jack, “solitamente fanno sorridere un po’ tutti mentre si amano. Chissà se ai loro occhi noi umani saremo tanto diversi…”
Ed a quel punto, Jack amava spiegare la sua teoria dell’evoluzione della specie.
“Se una volta camminavamo a 4 zampe come loro, e poi siamo passati a due, deve esserci un miglioramento anche da un punto di vista amatoriale.” E con questo, Jack intendeva… “scopare”.
La sua fidanzata di turno lo ascoltava sempre un po’ smarrita. Almeno sino a quando non si passava all’esempio pratico. A quel punto era tutto molto più chiaro.
Senza bisogno di ripetizioni.
L’ultimo stadio dell’evoluzione dell’uomo coincideva, secondo Jack, nel raggiungimento della capacità di iniziare e concludere l’atto d’amore in un unico movimento.
“One shot”, diceva. “Come un bel bicchiere di whisky”.
“Solo le donne sorseggiano. I veri uomini se lo fanno tutto in un colpo.”
Questa analogia tra il whisky e le donne, era per Jack un nesso indissolubile.

“Ehi Jack, mi sono sempre piaciuti i veri uomini”, disse il cliente seduto al bancone con lui. Era un cliente donna. E si era sorbita questa storia originale raccontata da un tipo un po’speciale.
“Quindi Jack,” disse lei infiammando una sigaretta, tenuta tra due languide labbra rosse, “questa è la tua serata fortunata. Se non ti piace sorseggiare troppo, come dici, e sei un vero uomo… sappi che io non ho niente in contrario. Anzi, ti posso fare anche il trenta per cento di sconto...”

martedì 1 aprile 2008

Sushi d’Aprile

Primo Aprile. Il mio compleanno. Quella rintronata di mia moglie si sarà dimenticata anche stavolta. Che donna. E’ già tanto che non la trovi di nuovo a letto con un altro. Del resto non sarebbe la prima volta…
Se l’avessi trovata a letto con una donna, mi sarei sorpreso di meno. L’avrà fatto per farmi un dispetto. Baldracca. Se ci ripenso…ma perché proprio un negro!?
Come diceva un mio vecchio amico postino, è sempre meglio suonare il campanello due volte prima di entrare, ci si risparmia una sorpresa in due.
E’ passato molto tempo da quella volta, ma il dubbio di trovar qualcun’altro non ti abbandona mai, è come un’ossessione.
Din Don. Din Don.
Niente. Eppure la luce è accesa.
Ecco. Ci risiamo.
Meglio suonare un altro paio di colpi come suggeriva il postino…
- Permesso, c’è nessuno? Fossi in voi non uscirei dalla finestra… siamo al decimo piano!
Silenzio.
Uno strano odore di pesce fresco mi giunge alle narici.
La porta della cucina fa fatica ad aprirsi. E’ come se ci fosse qualcosa dietro.
Cristo Santo!
C’è pesce fresco per terra, ovunque.
Il tavolino in vetro è completamente sfasciato. .. ma perchè tutto questo pesce? Non sarà mica… Una cosa strana spunta da sotto quel casino…ma è…è un piede!?
Mi viene da vomitare. Non so se è per l’odore di pesce o per quello che sto per scoprire.
Attaccato al piede, per terra, scorgo il corpo di mia moglie. Completamente nudo.
La mia attenzione cade sul fatto che è totalmente ricoperta di pezzettini di pesce, e cosparsa di una sorta di gelatina. Mai vista una cosa del genere.
Inutile dire che sulle prime ho pensato ad un pesce d’aprile. E’ l’ingrato destino di quelli nati in questo giorno. Metà dei regali di compleanno che ho ricevuto in vita mia, erano pesci d’aprile. E quasi tutti di mia moglie.
Ma stavolta è diverso. C’è anche del sangue rappreso, per terra. Lei, ha dei pezzi di vetro piantati qua e la e dei tagli, forse fatti dal vetro del tavolo in frantumi… o forse no. Non so più cosa pensare. Non so neanche se è viva o morta. Ho paura a controllare. E se fosse morta? D’un tratto mi sovviene il pensiero che possa esserci qualcun altro in casa. Nascosto. Ma chi può averle fatto una cosa del genere e poi rimanere qui?
Il cuore mi batte all’impazzata. Non riesco a pensare.
La porta tuttavia era chiusa a chiave dall’interno, come sempre. E dalle finestre non si esce al decimo piano.
Prendo un coltellaccio dalla dispensa. Il mio primo desiderio è scoprire dove si può essere nascosto.
Ma perché c’è pesce fresco dappertutto?! Sembra… anzi, è proprio del sushi.
Sul balcone non c’è nessuno. Passiamo agli armadi.
Deve trattarsi di un fottuto giapponese stavolta. Del resto dopo il negro, è naturale che abbia voluto provare anche il giallo, quella brutta... Deve essere così. Ma forse qualcosa non è andato per il verso giusto. Forse è un maniaco!
In camera c’è profumo di incenso.
Candele. Dappertutto. Non ci sono mai state candele in casa mia. E se fosse un rito satanico? Non pensiamo a scemenze adesso. Devo calmarmi.
Nel mentre vengo rapito dal pensiero di come passi le giornate mia moglie in mia assenza, noto che un armadio è un po’ aperto.
Non so cosa farò se lo trovo li dentro. Voglio dargli una possibilità.
- Avanti muso giallo, se non esci di li subito, mi faccio un bel piatto di Sushi con le tue palle!
Nessuna risposta.
Prendo un po’ di coraggio. Apro.
Ancora candele. Tante candele.
Non ci capisco più niente.
In casa non c’è nessun altro. Ho guardato dappertutto.
Ma allora che diavolo è successo?
In cucina ormai l’odore del sangue ha superato quello del pesce. Ed il sangue è quello di mia moglie. Ce n’è sempre di più per terra. E’ impossibile avvicinarsi a lei senza calpestarlo. Il vetro deve averle tagliato una vena.
Cerco di sollevarle la testa per capire se è viva. D’un tratto mi cade l’occhio su un libro che spunta da sotto uno strato di Sushi sul pavimento.
“Mille modi per sorprendere tuo marito e riaccendere il desiderio.”
Mio Dio.
C’è un segnalibro su una pagina.
“Sushi party per lui”. A fondo pagina c’è una foto a colori raffigurante una donna nuda distesa su una tavola imbandita, e completamente ricoperta di sushi.
“Perfetto per feste di compleanno, anniversari, occasioni speciali.”
Roba da non crederci. Sapevo di aver sposato una gran bella donna, ed altrettanto idiota, ma non pensavo arrivasse a tanto.
Il tavolo di vetro deve aver ceduto sotto il suo peso, quando ci si è distesa sopra. E adesso se ne sta lì bianca cadaverica, con due bacchette di legno infilate nei capelli, acconciati alla giapponese.
D’un tratto la scuote un fremito. Apre gli occhi. Mi vede.
Un sorriso le increspa le guance. Sembra non accorgersi delle condizioni in cui sta. Con un filo di voce mi sussurra:
- Buon .. compleanno… caro…

Ricordo, che con le lacrime agli occhi e la voce strozzata, le risposi:
“Ma tra mille modi per sorprendermi e riaccendere il desiderio, perché hai scelto proprio il Sushi, che l’odore del pesce fresco mi fa vomitare?!”
Lei, mi guardò e con l’ultimo respiro, mi disse:
“Le candele…lui…”. Fine.

Ricordo d’aver letto e riletto quel libro attratto dalla curiosità di sapere a cosa servivano quelle dannate candele, o cosa mi volesse dire mia moglie prima di andarsene.
E chi era lui?
Nessuna traccia, nessuna idea. Nessuno mi crede.
Proprio così.
La cosa che più mi ossessiona, è che quando lo racconto in giro, tutti pensano ... che sia un pesce d’aprile…