sabato 18 ottobre 2008

Solo

La porta del frigo si aprì. E una luce fioca irrorò la stanza buia.
L’ultimo uomo sulla terra era seduto a tavola, in cucina. Mangiava una pizza, al buio.
Aggrottò la fronte, già increspata dal tempo. Gli venne sete.
Puntò lo sguardo sul frigo. Qualcosa di anomalo stava accadendo al suo congelatore.
Si muoveva.
Forse c’era qualcosa di vivo nel frigo. Altrimenti, pensò, sarebbe rimasto fermo.
Chissà se quella cosa che si muoveva nel frigo era buona da mangiare.
O se piuttosto, era lei che voleva mangiare. Un trancio di pizza gli andò di traverso.
In ogni caso, adesso erano almeno in due lì dentro.
Il frigo era ormai giunto a due passi da lui. Semi aperto. E da come si muoveva, sembrava proprio che volesse andare a fare altri due passi. Nella sua direzione.
Cercava di pensare a qualcos’altro. Ma gli riusciva difficile.
Le birre erano nel frigo. Grazie a questo, almeno avrebbe evitato di alzarsi per prenderne una.
Il frigo si mosse. Le bottiglie tintinnarono, e qualcosa cadde per terra.
L’uomo, si mangiò l’ultimo trancio di pizza.
Ripensava al passato. Forse perché gli rimaneva poco da vivere.
Il suo pensiero era volato indietro nel tempo, quando vide un uomo seduto sulla Piazza Rossa che beveva un caffé americano. Capì in quel istante che la guerra fredda era finita.
Ma non nel senso che immaginava. Nessuno aveva immaginato che una guerra smette di essere fredda, quando si riscalda.
Ed ora, era rimasto solo lui a raccontarlo.
Il frigo fece un altro passo. Si era messo a tavola con lui.
Un gorgoglio sinistro e inumano usciva dalla porta semi aperta. In cucina si sparse un odore di muffa.
L’uomo allungò una mano, con un gesto secco. Azzardato. E la infilò dentro il frigo.
Un istante lungo un secolo. La mano incontrò qualcosa di freddo. Ma non si stupì. Era pur sempre un frigorifero.
Ne uscì indenne. Con una birra stretta tra le dita.
Fu allora che la porta del frigo si spalancò di colpo.
La luce lo investì nel buio della stanza e quasi lo accecò.
Un formaggio ormai multi colore, era la cosa che più si avvicinava alla vita, dentro quella fredda sorgente di luce.
La speranza di una scoperta tramontò. Nessuna sorpresa, fu la peggior sorpresa.
Qualsiasi cosa fosse stata, avrebbe interrotto il predominio del numero uno.
L’ultimo uomo sulla terra si sentì solo.
La propria mente non era più sua alleata. Ricercava altrove la compagnia che lui non sapeva più darle.
Giorno dopo giorno, si allontanava sempre più, in cerca di qualcuno o di qualcosa migliore di lui.
Oggi un frigorifero. Domani… chi gli porterà a tavola?
Anche lei voleva abbandonarlo. Come tutti gli altri.
Il freddo del frigorifero si impossessò di lui.
Non poteva permetterlo. Non l’avrebbe lasciata andare via. Era la sua mente. Sua, e solo sua.

In una mano teneva una birra, e nell’altra una pistola.
Appoggiò la prima alle labbra e la seconda dove stava colei che voleva abbandonarlo.
L’ultimo uomo sulla terra stava seduto in cucina con una pistola alla testa, quando bussarono alla porta.
Fece un sorriso. L’ennesimo inganno della sua mente bacata?
La curiosità era forte.
Lo sfiorò il desiderio che alla porta vi fosse una donna.
Forse era proprio la donna dei suoi sogni, quella che passava a trovarlo ogni notte, incantevole, seducente e…
No! All’improvviso, il timore di sentire il suo nome prese il sopravvento.
Non poteva essere quello che stava prendendo forma nella sua mente. Era una beffa troppo grande da sopportare.
Se avesse detto di chiamarsi proprio Eva, sarebbe bastato come prova per dimostrare che era solo un tentativo della sua mente di prendersi gioco di lui?
Il sorriso del novello Adamo, divenne un ghigno.
Vivere con qualcuno, era da tempo il suo unico desiderio. Ma ora , stava diventando un incubo peggiore dell’attuale. Fra poco, non avrebbe neppure saputo distinguere tra realtà ed inganno.
Doveva chiudere i conti finché era in grado di farlo. L’ultimo respiro, lo avrebbe usato per urlare a colei che teneva sotto tiro, che non avrebbe vinto.

mercoledì 1 ottobre 2008

La Voglia Stereo

Appena entrato nel locale non poté fare a meno di notarlo.
Se ne stava lì sospeso e al tempo stesso, invadente e spietato.
Non risparmiava nessuno. Uomini o donne che fossero, dovevano tutti fare i conti con lui.
Dentro quel affollato locale, regnava una tranquillità apparente, malcelata dietro una tensione di fondo.
Nel bel mezzo della serata decise di avvicinarsi come non aveva osato fare nessun altro sino a quel momento.
Gli si sedette proprio di fronte. Lo squadrò, lo fissò e mentre stava per sistemarsi la cravatta, tra loro due si frappose il gestore di quel misterioso locale, di cui aveva sentito tanto parlare.
Strane storie su quel posto. Voci contrastanti. Ma del gestore nessuno sapeva niente.
Decise allora di prendere una birra e gli servirono una Lucifer. Birra belga dissero. Sogghignando accettò, e dato che l’altro lo fissava, decise di fare il primo passo.
- La Voglia, - esordì, – nome sagace e conturbante per un locale serale, per non parlare del nome della birra.
Ma dall’altra parte non giunse alcuna risposta. Il gestore, si limitava a squadrarlo con uno sguardo eloquente ed altrettanto schivo.
Il cliente lo lasciò perdere e riprese da dove era rimasto. La cravatta.
Mentre si sistemava notò che la sua immagine si rifletteva impietosamente. Quello specchio era spietato come pochi. Non si era mai visto così. Aveva un aspetto terribile, sfatto, con barba lunga e occhi infossati. Non riusciva ad accettarsi, al punto da non potersi guardare più di pochi istanti per volta.
Fu pervaso da un disagio crescente, eppure non riusciva a staccarsi dalla curiosità e dal modo con cui quello spettacolo incombeva su di lui. Il gestore pareva essersi accorto del suo disagio e con un gesto di sfida, si avvicinò allo specchio.
Il cliente trasalì. Non credendo ai suoi occhi, notò che l’immagine del gestore, non si rifletteva nello specchio. Era come se fosse trasparente.
Ripeté per tre volte quel controllo, e questo gli servì solo a notare che i clienti nel locale non erano del tutto uguali a quelli riflessi nello specchio.
I loro sguardi, i loro volti, perfino le loro azioni non erano le stesse.
Anche il locale raffigurato sul vetro aveva poco in comune col posto dove si trovava lui.
La Voglia, nello specchio, era avvolta da una coltre di fumo. Sulle prime pensò che lo specchio fosse sporco. Ma dopo pochi istanti notò che i clienti ivi riflessi, stavano proprio fumando!
Tutto ciò era disarmante. Fece per ordinare un whisky, ma si ricordò che doveva guidare.
Nell’istante in cui lo pensò, si vide riflesso con un bicchiere di whisky in mano. Nell’altra teneva una sigaretta accesa. Eppure non stava bevendo e non stava nemmeno fumando. L’aveva solo desiderato. Il gestore lo fissava, sornione, in disparte, con uno sguardo irriverente. Qualcun altro si accorse del suo stupore.
Un tizio dall’aspetto losco nello specchio quanto nella realtà, con codino cotonato e barba incolta, se ne stava a due passi da lui, sfogliando una rivista di Yoga fai da te. Lo fissò, si avvicinò e gli disse:
- Prima volta qui, eh? – Ridendo, si scambiò uno sguardo ammiccante col gestore, girò i tacchi e sparì.
L’uomo nello specchio col whisky in mano, si fece una bella sorsata e si allargò il collo della camicia, togliendosi la cravatta.
Mentre osservava il suo alter ego con malcelato terrore, un altro tizio con occhiali spessi, faccia da avvocato, e sguardo ambiguo, gli mise la mano sulla spalla e gli sussurrò:
- Tranquillo, ti ci abituerai.
- Abituarsi…- fece lui stordito additando lo specchio, - ma è tutto diverso …il locale è diverso… la Voglia è…
- Stereo. – Replicò l’altro compiendo un cerchio ampio con la mano aperta. - Anche in un impianto stereo la musica proviene da punti diversi. Ma è sempre la stessa musica...no?
E anche lui sparì.
Per distogliere il pensiero da quello specchio e da quei due personaggi, iniziò a guardarsi in giro.
Sentiva il bisogno di stare nella realtà. Il locale tuttavia era tutt’altro che rilassante. Quadri dipinti con rabbia, per lasciare il segno, stavano lì a fissarlo. Ebbe l’impressione che uno di questi addirittura volesse ingoiarlo. Tinte forti, immagini che trasportavano lo spettatore altrove.
Anche la musica. Suadente e ridondante, penetrava nell’ego già provato e stordito da quelle visioni, minando la volontà degli ascoltatori.
Tutto lo attirava di quel luogo, e al tempo stesso lo inquietava.
Tra le due, la paura prese il sopravvento e si alzò.
Una figura di donna gli si presentò di fronte. Con un sorriso lo stese. Si spostò una ciocca di capelli biondi e socchiuse le labbra.
- Te ne vai di già? – Disse con voce roca. Lo sfiorò con una mano sul collo e senza fermarsi, si allontanò..
Rimase colpito al punto da seguirla con lo sguardo languido, e la mandibola a penzoloni . Poi si voltò e si guardò nello specchio per non fissarla troppo insistentemente.
Ma nello specchio lei non si stava affatto allontanando. Se ne stava lì, a parlare col suo alter ego, che si dava un gran d’affare per fare il piacente. E lei sembrava apprezzare.
Sin troppo. I due si stavano scambiando sensazioni forti. Noncuranti degli sguardi altrui. Lui si sentiva imbarazzato, forse perché in fondo si trattava pur sempre della sua immagine, anche se riflessa. Eppure una parte di lui era morbosamente lusingata nel vedersi avvinghiato a quella bionda che non avrebbe neanche lontanamente pensato di poter possedere così, davanti a tutti.
Nel mentre desiderava ardentemente per la sua controparte un lieto fine, li vide allontanarsi assieme attraverso il locale ed entrare con disinvoltura nella porta del bagno, dove si trattennero a lungo.
Quando la sua libido si spense, iniziò a rimuginare sull’accaduto. Inutile nascondere che la voglia di andare in bagno con la bionda era venuta anche a lui, nell’istante in cui lei lo sfiorò in quel modo.
Ma non l’avrebbe mai fatto, il pensiero di sua moglie lo avrebbe fermato. Non fermò invece i suoi pensieri. Era come se fossero stati proiettati in quel maxischermo che aveva di fronte. Tutto sembrava assurdo. Ora anche lui al pari del gestore, non appariva riflesso nello specchio. E adesso capiva anche perché.
Era certo di aver visto abbastanza e quindi decise di saldare i conti con quel posto. Si presentò al gestore e disse:
- Le pago la Lucifer.
Il gestore fece un ghigno storto, mentre alle spalle del cliente si levò una grassa risata corale che era tutta per lui.
- E il whisky e la bionda chi li paga? – La voce era pietrificante. Una di quelle che scavano dentro fino all’anima. Sia il tono che lo sguardo parevano fatti per mettere a disagio. Con un filo di voce per quel inatteso e non voluto momento di protagonismo il cliente replicò.
- Ma io ho preso solo una Lucifer !
Un motociclista in piedi dietro di lui, riconoscibile per l’odore che emanavano i suoi capi in pelle laceri e consunti, appariva riflesso nello specchio addirittura in sella ad una Harley Davidson, appoggiata al bancone del locale. D’un tratto con la bocca mezza piena, allargò le braccia e sbottò:
- Ci risiamo. Ecco un altro che pensa di venire qui e togliersi la voglia senza dare niente in cambio.
Il cliente era perplesso e smarrito:
- Ma qua… quale voglia?
Un altro cliente, stizzito dai lamenti del nuovo venuto, concluse categorico.
- Suvvia lo sai benissimo, l’hanno vista tutti la bionda! – Il resto del pubblico, variamente assortito, inveiva sul povero cliente che non capiva cosa volessero da lui.
Nello specchio intanto era appena tornato dal bagno il suo alter ego, e si era buttato giù l’ultima sorsata di whisky, con un’aria distesa e compiaciuta.
- Ma io non ho fatto niente! L’ho solo desiderato! – Urlava, guardandosi l’uomo al bancone.
Il centauro, puntando il dito sbottò: - Bella scoperta! Credi che io sarei qui se avessi i soldi per comprarmi una Harley come quella?!
Il motociclista sulla Harley, con un panino a conchiglia in mano, scavallò dalla moto e si fece sotto. Ma il cliente riflesso nello specchio, non era mansueto al pari di quello che stava cercando di pagare il conto e svignarsela. E quindi, pensò bene di spalmare sulla testa pelata del centauro, quel che rimaneva della conchiglia che teneva in mano. Il centauro divenne verde in viso, un po’ per colpa anche della salsa tartara.
La rissa che scoppiò nello specchio, coinvolse metà dei clienti ivi riflessi, sfasciando una buona parte del locale virtuale, e portando il cliente a due passi dal trionfo. Ma essendo uno contro tutti, dovette rassegnarsi.
Nel frattempo alla cassa, il cliente incravattato, prima che gli eventi degenerassero anche lì, decise di concludere.
- Allora il totale quant’è?
Lisciandosi il codino con una mano, il gestore indicò platealmente i danni al locale proiettato dietro le sue spalle, quindi ritoccò il conto e lo sottopose al cliente, che esplose:
- Ma voi siete tutti matti ! Dove pensate che vada a prenderla una cifra del genere? E per cosa poi? Ho preso solo una Lucifer !
Il gestore continuava a guardare lo specchio, come pure i clienti.
E lui ne approfittò. Infilò la porta, e fuggì fuori mentre alle sue spalle, nello specchio la sua immagine se ne stava braccata tra le grinfie di un nerboruto che non emetteva un suono, e pareva pure sordo alle urla del costritto che si sbracciava ed urlava improperi alla volta del suo simile che se la stava svignando. Anche lui sembrava non volesse rimanere lì dentro. Ma nessuno poteva farci niente.
Non gli sembrava neanche vero di essere uscito da quel posto.
Decise di salire in macchina e andarsene il più lontano possibile.
Ma dove? Col volante in mano, si rese conto che non aveva voglia di andarsene da nessuna parte.
Nemmeno di tornare a casa da sua moglie. Neanche di guidare aveva voglia. Si sentiva vuoto, privo di desideri. Era come se li avesse lasciati tutti in quel posto che li riassumeva in una parola.
Nel mentre si stava chiedendo se era colpa di qualcosa che aveva bevuto nel locale, si ricordò delle uniche parole urlategli dietro dal gestore mentre infilava la porta.
- Ce la terremo … come pegno…!
Non riuscì a sentire tutte le parole ma non vi diede peso.
Tutto fu così assurdo quella sera, ma finalmente era finita.
Fermò la macchina vicino alla stazione dei treni. Quasi senza pensarci, prese in mano lo specchietto retrovisore e vi mise dentro il naso, per rivedersi nella sua banale quanto agognata normalità.
Niente!
La faccia non c’era.
Lui non c’era. Eppure si toccava, si sentiva ma nello specchio non vi era traccia di lui.
Scese dall’auto e si cercò nei vetri appannati. Ma anche lì non vi erano né la sua faccia, né lui.
Quella notte, passò veloce. Cercò la sua immagine ovunque. Nei vetri delle case, sulle maniglie, nelle pozzanghere, ogni cosa che riflettesse un barlume di luce.
La mattina dopo ritrovarono un’auto parcheggiata alla Stazione con la portiera aperta, ed un vestito sul sedile.
Nel paese cominciò subito a girare una strana storia, sul forestiero proprietario dell’auto trovata presso la stazione. E guarda caso, anche questa volta sembrava che il tizio in questione fosse stato visto l’ultima volta dentro al solito locale, dal quale usciva una leggenda alla settimana.
Il nome era sempre lo stesso, e le storie così tante che oramai non ci faceva più caso nessuno.