sabato 5 maggio 2007

La Prescelta

Sesto San Giovanni. Sesta strada. Numero sei.
Leila è sulla porta di casa, cerca le chiavi nella borsetta, le infila nella serratura e nell'aprire si risveglia come da un lungo sonno.
Entrando in casa, di primo acchito, avverte una strana sensazione dentro di se ma non capisce da cosa possa derivare. Non sa che ore sono e guarda l'orologio. Sono le sei. Il suo pensiero è subito:
"Ma non dovrei essere qui a quest'ora..... perché sono rientrata adesso? Ah.....". Una forte fitta alla testa la coglie impreparata.
Si accascia per terra, con l'ansia che prende il sopravvento in lei. Rimane un po' così, rannicchiata sul parquet, con la mente che si rifiuta di prendere possesso del corpo. Lentamente si riprende. Con un gesto istintivo, afferra il telecomando ed accende la tv. Senza pensare, si dirige verso il frigorifero per bere un po' d'acqua, mentre scorrono le notizie in sottofondo, quando all'improvviso si blocca.
Il cronista aggiorna gli ascoltatori sui risultati sportivi della domenica. Un fremito la scuote.
"Impossibile! Oggi è venerdì!" Esclama.
Prende il cellulare e guarda sul visore. Sembra indicare proprio un lunedì. Corre allora verso la cassetta della posta. Il giornale è già arrivato. Lo prende e lo apre con le mani tremanti. Deve sedersi. Non c'è più dubbio. E' lunedì. Lunedì ...
Scorre inconsciamente le notizie di prima pagina, non le interessano ma è un gesto automatico, per non pensare, per non dover cercare di capire subito cosa sta succedendo. Le pare che la situazione sia più grande di quanto la sua mente riesca a contenere.
Fruga nella borsetta, cerca le sigarette, le trova.
Una seconda sorpresa la fa rabbrividire.
Quelle non sono le sue sigarette. Almeno, non sono quelle che prende di solito e non le risulta d'averle mai fumate. Cosa ci fanno nella sua borsetta? Molte domande si affacciano ora alla sua mente, tutte nello stesso istante. L'ansia si trasforma in angoscia. Prende in mano una sigaretta, fa per metterla in bocca istintivamente, ma poi si ferma e la guarda.
E se non fossero sue, chi avrebbe potuto metterle lì dentro? Ma soprattutto quando e dove? Butta la sigaretta sul tavolo, cammina avanti ed indietro dalla cucina all'ingresso, con la testa fra le mani. Si arresta.
"Bisogna mantenere la calma", si dice.
"Cosa potrebbe essere successo in questi tre giorni? Perché sembrano spariti dalla mia mente?"
Cerca, sforzandosi, di ricordare. La testa in questi tentativi le fa molto male. E' come se non riuscisse a spingersi facilmente in quella parte della sua mente in cui dimorano i ricordi.
Venerdì mattina, ecco, ora rammenta.
È in ritardo, si infila velocemente le cose che aveva addosso la sera prima, la gonna, la camicia, prende una giacca dall'armadio, quella nera in pelle.
Ritorna in sé. Ora si guarda, controlla di nuovo. Non c'è dubbio è ancora vestita come venerdì!
Torna alla cassetta della posta. Poco prima, per l'apprensione, non vi aveva fatto caso. Ci sono ancora i giornali dei giorni scorsi. Quindi non è mai tornata a casa da Venerdì.
Si stende sul letto e faticosamente tenta di riunire gli ultimi eventi che trova nella sua mente. Niente.
Il nulla è l'unica cosa che esiste nella sua testa da venerdì scorso. Sembra tutto inutile.
Si convince che la cosa migliore è fare una doccia per togliersi di dosso lo stress e calmarsi un attimo. Si spoglia della gonna e della camicetta in bagno, poi si guarda, incredula.
Non riconosce quel completo intimo che indossa. Non l'ha mai visto prima d'ora. Eppure lo indossa, è della sua misura, nero, di un tessuto sintetico. Ora l'angoscia le fa quasi mancare il respiro e con movimenti rapidi, forse per rimuovere con esso lo stesso pensiero, se lo toglie e lo butta lontano da lei.
Entra velocemente nella doccia e si getta sotto l'acqua fredda, cercando di non pensare, ma con il cuore in gola.
Compie i soliti gesti abitudinari, assillata da cosa quest'ultima novità potesse significare, quando una scoperta ben più disarmante sembra toglierle ogni eventuale dubbio su alcuni trascorsi di quei tre giorni. Passandosi una mano nel basso ventre, non trova il solito ostacolo villoso a fermare l'avanzata delle dita ed alla luce di un più completo esame, scopre che le sue intimità sono ora rasate, lisce, come quando era bambina.
Sente che sta sudando anche se è sotto l'acqua corrente. Immobile, nella doccia, cerca di comprendere la portata della cosa. L'unico pensiero che le sovviene, è l'incredulità di tutto questo che sembra un incubo ed invece, è proprio la realtà.
Nel tentativo d'immaginare cosa può esserle successo, la sua mente si rifiuta di pensare e preferisce delegare tutto al subconscio. Esce nuda ed ancora bagnata dalla doccia, si precipita alla ricerca delle sigarette e questa volta senza indugio, ne porta una alla bocca e l'accende, aspirando profondamente.
Poi, un ricordo le trafigge la mente.
Non è un ricordo di quei tre giorni, è di una settimana prima. Le sembra di aver letto un articolo sul giornale che parlava di una ragazza, di una storia che allora le pareva inverosimile e alla quale aveva dato poco peso, smettendo di leggere l'articolo in questione a metà.
Ora ricorda. Parlava di una ragazza scomparsa per pochi giorni. Era sparita, la polizia l'aveva cercata, sembrava fosse stata rapita ed invece al suo ritorno.....
Poi nulla, non ricorda, ma il giornale di quel giorno crede di averlo ancora nel ripostiglio. Si, certamente, deve esserci.
Si dirige fumando sempre più avidamente, verso il ripostiglio. Butta per terra i giornali, finché non lo trova. E' quello di un martedì, di una settimana prima. Lo apre con le mani ancora bagnate.
L'articolo si intitola: Ricompare dopo tre giorni, misteriosamente come era scomparsa.
Parla di una ragazza italo-americana come lei, di vent'anni, della quale la madre aveva denunciato la sparizione. La ragazza era tornata a casa da sola, in evidente stato confusionale ma la cosa più terrificante per Leila era che, come lei, non ricordava assolutamente nulla dei tre giorni precedenti e anche il suo nome era …Leila.
Si blocca per un attimo. Non può che continuare a leggere con trepidazione crescente.
Al suo ritorno, la ragazza aveva i capelli tagliati a zero e sulla schiena un piccolo tatuaggio in caratteri gotici, scritto al contrario, riportante una sorta di enigma gli inquirenti non erano riusciti a comprendere, e diceva: " dove 6, chi 6, come 6 ".
Leila fa un balzo all'indietro. Le manca il fiato.
Dopo qualche istante, mette una mano sulla schiena, dove avverte uno strano e persistente prurito.
Si pone davanti allo specchio.
Lentamente si volta.
C'è un tatuaggio che prima non c’era...

Prologhi:

http://prologhi.blogspot.com

giovedì 3 maggio 2007

Il Mostro con le sporte

Gino era un bambino piccolino, e per la sua età andava in bicicletta alla grande.
Se ci si metteva, nessuno riusciva a stargli dietro. Amava andare veloce, e sentire il vento che gli fischiava nelle orecchie, fino a quando non arrivava a coprire ogni altro rumore. In sella alla sua bicicletta si lasciava tutto alle spalle, amici, pensieri…e paure.
Ma non sempre gli riusciva di sfuggire a tutto.
Da qualche tempo infatti, c’era un mostro che si aggirava per le vie del paese su una bicicletta scassata. Aveva quattro sacchetti di nylon appesi ai manubri, ma nessuno sapeva con certezza cosa ci fosse dentro.
Alcuni dicevano che c’erano le teste dei bambini che era riuscito a prendere di sorpresa, girando in bicicletta.
Nessuno aveva le prove, eppure tutti gli amici di Gino ci credevano.
Assomigliava ad un vecchio barbone, ed emetteva sempre dei suoni strani, mai uditi prima da Gino. Erano suoni inquietanti, a metà tra deliri e lamenti.
Lui girava sempre da solo e nessuno sapeva dove dormisse o vivesse.
Ma c’era chi non lo temeva.
Il più grande tra i ragazzi del gruppo si avvicinava spesso a poche pedalate dal mostro. E quando gli stava ad un passo, lo provocava e si faceva inseguire per chilometri, trascinandosi dietro tutto il gruppo dei bambini del paese che urlavano terrorizzati.
Finché una volta sul più bello, mentre l’ennesima fuga di gruppo era iniziata, qualcuno sbilanciò Gino che finì a terra. E fu raggiunto dal mostro.
Quando si fermò con la bici sopra di lui, l’ombra del mostro lo ricoprì.
Mentre era steso a terra, sopra la sua testa c’erano quelle quattro borse di nylon che oscillavano avanti e indietro. Gino ebbe l’impressione di vederci dentro qualcosa di familiare.
Infine ebbe il coraggio di alzare gli occhi, e guardarlo.
Il mostro era solo un uomo molto vecchio. Le sue urla inquietanti erano il pianto triste di un sordomuto che non riusciva a dirgli che non voleva fargli niente di male. E che i bambini non dovevano avere paura di lui. Dai suoi occhi scendevano lacrime, mentre la bocca si contorceva come quella di un bimbo, distrutto da un dolore più grande di lui.
Gino capì di essere la causa di quel pianto, lui assieme a tutti i suoi amici. Avevano fatto di lui ciò che non era. Questo trasformò la sua paura in compassione.
Da quel giorno Gino iniziò ad accompagnare il vecchio in bicicletta per dei brevi tratti nelle vie del paese, in modo che tutti lo vedessero. Quando stava con lui il vecchio sorrideva e non aveva proprio più niente a che vedere con il mostro di prima. Giorno dopo giorno, forse per curiosità, molti altri bambini si aggiunsero ed il gruppo attorno al vecchio divenne numeroso. Da quel giorno fu sempre il benvenuto in quel paesino, che divenne un po’ la sua famiglia.
E così Gino si rese conto che i mostri forse non esistono. Sono le paure dei bambini a crearli, ma a volte basta così poco per trasformarli in qualcosa di migliore.

Link sul tema:

http://www.dienneti.it/percorsi/favole_fiabe.htm

martedì 1 maggio 2007

Arturo il duro

Nel piccolo orfanotrofio di Villafranca, ai bambini dispettosi le suore non facevano guardare la TV per un mese o anche più. Ma ad Arturo questo non importava, dato che lui la TV oramai non la guardava più. Infatti da quando babbo e mamma se n’erano andati lassù in cielo, lui aveva chiuso gli occhi e diceva che li avrebbe riaperti solo quando fossero tornati giù.
Quando gli chiedevano perché, lui rispondeva che non c’era niente di speciale da vedere in giro. E questo dal momento che secondo lui, niente poteva essere meglio di mamma e papà.
Finora, nessuno era riuscito a convincerlo del contrario.
Ma un giorno mentre era da solo in camera sua, sentì dietro di se una voce che diceva di aver visto mamma e papà, lassù in cielo.
Arturo chiese chi fosse che stava parlando, e la voce gli rispose che era un angelo mandato proprio dai suoi genitori, per dirgli una cosa molto importante.
Arturo rispose che gli angeli non esistono, e che se mamma e papà volevano salutarlo, potevano venire loro invece di mandare un altro.
L’Angelo disse che era la prima volta che gli capitava un bambino così, ma bastava che lui aprisse gli occhi, e sicuramente gli avrebbe creduto.
Arturo non voleva saperne e rispose che, come aveva già detto, gli occhi li avrebbe aperti solo quando fossero tornati mamma e papà.
L’Angelo era un po’ in difficoltà. Così disse che sarebbe tornato un’altra notte.
E così fece. Tornò molte notti, ma Arturo continuava a ripetere la solita storia.
Finché una notte l’Angelo ricomparve e disse che questa volta non era solo. C’erano con lui anche la mamma ed il papà di Arturo. Erano venuti con un permesso straordinario proprio perché Arturo riaprisse finalmente gli occhi, ma non potevano parlagli.
Arturo rispose che non ci credeva per niente e che prima di aprire gli occhi voleva delle garanzie.
L’Angelo disse ad Arturo che non avevano molto tempo e che se non si sbrigava ad aprire gli occhi, non li avrebbe rivisti mai più.
Arturo ci pensò un po’ su prima di rispondere.
Alla fine, ringraziò l’Angelo, la mamma ed il papà per essere venuti, e disse loro che vederli per pochi istanti sarebbe stato solo un secondo addio. E che preferiva quindi non aprirli, a meno che non fossero rimasti con lui per sempre.
L’Angelo disse che questo sarebbe stato possibile solo quando fosse giunto anche per lui il momento di andare in paradiso, e che per ora doveva accontentarsi di questa occasione più unica che rara.
Ma Arturo non si era mai accontentato. E come molti bambini, anche lui voleva tutto e subito. Li lasciò quindi andare e riaprì gli occhi solo qualche giorno dopo, mentre, salito sul tetto dell’orfanotrofio, tentava di imitare un angelo, in volo verso il paradiso.

Sul tema suggeriamo:

http://www.prodottiunicef.it/privati/home.asp?referer=

http://www.orphanage.kiev.ua/pages_html/ital/orphan_life.html