venerdì 23 aprile 2010

L'autobus per l'al di là

Che peccato ! Ero quasi convinto di avercela fatta.
Mi sentivo già a casa. E che casa!
Era su misura per me. Un monolocale proprio perfetto per passarci un po’ di mesi in attesa di una sistemazione migliore.
E dopo tutti quei preparativi! Cavolo, sembrava proprio dovessi stare via una vita, e invece son già tornato.
Qualcuno mi aveva detto:
“Da domani dovrai camminare con le tue gambe e cavartela da solo, hai capito?”
Io avevo ben inteso, altroché. Ma sapevo di non essere solo.
Insieme, credo proprio che saremmo arrivati lontano, avevamo tutte le carte in regola.
E poi non vedevo proprio l’ora di conoscerla.
Doveva essere bellissima. O almeno io me l’ero immaginata così. La migliore di tutte.
Sempre gentile, dolce, amorevole, piena di attenzioni. Avremmo fatto un sacco di cose assieme e visitato moltissimi posti. Con lei sarei stato proprio felice, ne sono certissimo.
Ed invece niente.
Ha cambiato idea.
Proprio quando sembrava fatta.
Queste donne, proprio non le capisco. Oggi ti vogliono e domani basta.
Diceva che con me non sarebbe stata più la stessa vita di prima, che aveva bisogno di spazi, che doveva fare ancora molte esperienze. Diceva anche che mi voleva un sacco di bene ma, semplicemente non ci eravamo incontrati nel momento giusto.
Una sera mi ha parlato e ha cercato pure di convincermi che sarebbe stata la cosa migliore anche per me. Figuriamoci…
Anche se un po’ la capisco. Doveva finire l’università, andare in america a fare il Master, ed io invece volevo … solo stare con lei. Non mi importava di nient’altro. Non so, forse sarò un tipo da poche pretese, o poche idee, ma sono sicuro che come l’avrei amata io, non l’avrebbe saputa amare nessun altro. Avrei voluto dirglielo, più avanti magari, ma non ho fatto in tempo.
E adesso che succederà?
Io me ne andrò per la mia strada e lei per la sua.
Lei si farà la sua vita ed io… io la farò finita.
Si. Non ho alternative. So esattamente dove devo andare a finire.
Ci andrò con l’autobus.

Appena salito, noto che ce ne sono molti altri che hanno avuto la mia stessa idea, nonché sorte a quanto sembra. Dicono tutti le stesse cose. Un destino comune fa meno male. Prima di arrivare, e farla finita, ho deciso di fare due parole col mio vicino.
“Ehi, tu come ti chiami?”
Lui mi guarda stranito, quasi incazzato per quella domanda impertinente.
“Non lo so come chiamo! Perché vorresti dirmi che tu lo sai? Nessuno qui ha un nome.”
Io invece ero convinto di averlo. Me l’aveva detto lei. Cosa poteva essere se non il mio nome?!
“Ebbene sappi che io un nome ce l’ho!” Ho urlato. “Io mi chiamo RU486”.
“Ma che razza di nome è? “ Fa il tipo tutto incavolato. “Anch’io mi chiamo così!” Sbraita invece uno dietro di me. “ E pure io!” Dice un altro non nato più indietro.
Saremmo stati almeno una ventina con lo stesso nome sull’autobus.
Non c’è che dire, avevo una madre ben poco fantasiosa. Ma le voglio bene lo stesso…
“Siamo arrivati!!” Urla il conduttore. “Dovete andare al di là…” Fa con un gesto.
“ Al di là di cosa?” Dico io.
“Non lo so,” fa lui smarrito e un po’ rattristato. “Non sai leggere?”
Non ho fatto in tempo a impare, penso tra me.
“Questo è l’autobus per l’al di là!” Conclude mestamente.
Lo so. Lo so benissimo dove ci troviamo. Ero appena venuto “al di qua”, ma mi hanno rispedito indietro subito…
Tanta strada per niente.