sabato 19 febbraio 2011

SANREMO - Vince: « Mama mia dami cento euro… che in Italia volio andar! »

- Ah, che bella l’Italia vista dalla TV !
Di là del mar, attorno ad un piccolo schermo, si riunivano ogni sera Alì ed i suoi amici, per il grande evento della serata. In trepidante attesa, col fiato sospeso, tutti si chiedevano quale sarebbe stato stasera il tema dello stacchetto delle Veline.
Eccole! Fulgide, sorridenti e disponibili come tutte le italiane, scodinzolavano in attesa di un giovane africano, o almeno così amavano sognare laggiù.
Grazie alla TV, per un’ora sembrava proprio di essere in Italia. Ma come tutti i sogni anche questo finiva, e si tornava col sedere su una spiaggia africana, a guardar il mar che separava l’Africa dalla terra promessa.
Soldi, automobili sportive e belle donne. Il Belpaese era lì a poche ore di barca ed al tempo stesso, irraggiungibile. Ma grazie alla TV italiana, almeno, era possibile continuare a guardare gli altri che mangiano il gelato, anche se purtroppo, attraverso la finestra della gelateria. Sempre meglio di niente.
Finché un bel giorno tutto cambiò.
In Africa scoppiò il caos, e molti decisero che era il momento giusto per andarsene. Il primo a farlo fu proprio il Presidente del Paese, chi l’avrebbe mai detto !
In tanti decisero che valeva la pena di prendersi qualche rischio, piuttosto che rimanere alla finestra per tutta la vita.
E fu così che pure Alì decise di andare in Italia.
Non era proprio una vera barca quella su cui era salito, ma se ne accorse solo dopo aver dato tutti i soldi che la mamma aveva risparmiato in una vita, al capitano… più o meno l’equivalente di un pieno di benzina in Italia.
La traversata fu veloce e fortunata. C’era addirittura il comitato di benvenuto in divisa ad attenderli, su una barca militare italiana.
Mise piede in Italia, sfinito, ma entusiasta al tempo stesso, perché la TV italiana gli si avvicinò per un’ intervista ! Nel mentre si sistemava la camicia, pensando che l’avrebbero visto persino in Africa, gli chiesero cosa era venuto a cercare in Italia. Lui rispose con la prima parola italiana che gli venne in mente:
- Libertà !
Il giorno dopo era rinchiuso assieme a tutti gli altri in un centro d’accoglienza, con sbarre alte come un minareto, che gli ricordavano tanto le galere africane. E non c’era neanche la TV !
Per la prima volta gli venne il dubbio che non proprio tutto in Italia fosse meglio che in africa.
Ma ci voleva altro per far disperare Alì!
Dopo qualche mese lì dentro, sentì alcuni usare delle parole tipicamente italiane che lui non conosceva, come «condono » ed «asilo politico », ed in men che non si dica si ritrovò in aperta campagna.
E lì, gli offrirono subito un lavoro ! L’Italia era sempre sorprendente.
Il boss era una persona equa, e gli spiegò che siccome lui veniva dall’Africa, doveva essere pagato con uno stipendio africano.
Logico in fondo. Alì non ebbe niente da obiettare.
Poteva anche dormire vicino agli altri animali, nella stalla, e mangiare tutto quello che mangiavano loro. Senza limiti. Altro che Africa !
Quando dopo qualche mese chiese quanto avesse accumulato raccogliendo pomodori, gli risposero che, tolto vitto e alloggio, in realtà era lui che doveva una bella sommetta al boss, e stava crescendo giorno dopo giorno.
Mentre rifletteva sulla particolarità del mercato del lavoro in Italia, che non aveva ancora del tutto chiara, gli proposero di saldare il suo debito mettendosi nel commercio.
Alì, conobbe il libero mercato.
Una settimana dopo, si ritrovò di nuovo al centro d’accoglienza, che nel frattempo aveva cambiato nome, e ora si chiamava « centro di Espulsione ».
Gli spiegarono che in Italia c’era una legge contro il fumo che lui aveva infranto, in quanto non si poteva vendere fumo, o quanto meno non fumo africano. Quindi, stipendio africano sì, ma fumo africano no ?!
Si vede che in Italia c’erano già abbastanza venditori di fumo.
Ogni giorno si scopriva una cosa nuova nel belpaese.
Una settimana dopo, gli dissero che per non tornare subito in Africa, aveva solo un modo. Scrivere una lettera e chiedere la Grazia al Presidente. E lui lo fece.

« Sua Grazia Presidente,
Mi scuso pel mio italiano, ma io ho imparato italiano alla TV. Le sue TV, Presidente.
Grazie alle sue TV ci sentiamo tutti più Italiani, anche in Africa. Grazie Presidente.
Nostro povero Paese, rimasto senza Presidente ora. Abbiamo bisogno di nuovo Presidente. Lei Presidente Milan, Presidente TV, e Presidente Italia. Perché non può essere anche Presidente d’Africa ?!
Mi hanno detto di scrivere questa lettera di Grazie. E io dico tante Grazie Presidente !
Grazie a lei Africa e Italia ora sono molto più vicine di prima. Anche Italiani pensano la stessa cosa. Anche Italiani dicono che grazie a lei… Italia è come Africa !
I problemi d’Italia sono i problemi di africa. Donne molto belle, ma troppo care ! Giustizia che non ti da mai ragione… e arbitri che non tifano per Milan !
Africa non può stare senza Italia, ma Italia non può stare senza Africa.
Chi fa ancora bambini in Italia ? Chi raccoglie pomodori gratis?
E’ momento di festeggiare, Presidente.
E non solo le vittorie del Milan.
Io dico bisogna festeggiare, i 150 anni di Italia… anche in Africa!
Infatti, anche grazie a lei Presidente, dopo 150 anni, Italia e Africa sono ormai la stessa cosa !
Grazia Presidente ! »

Qualche giorno dopo Alì fu espulso, forse solo perché fra tutti i Presidenti a cui aveva scritto, mancava quello meno famoso, ma pur sempre…per ora, l’unico Presidente della Repubblica Italiana.

domenica 13 febbraio 2011

Reuters - Cenerentola Rubacuori. Una favola moderna

C’era una volta in Africa una bimba che sognava il principe azzurro, e decise che nella vita avrebbe fatto di tutto per potersi sposare con questo principe, ovunque lui si trovasse.
Quando fu più grande, cominciò a capire che non avrebbe mai potuto trovare un principe nel suo povero paese nordafricano. Un vero principe doveva avere, se non un vero e proprio castello, almeno una villa con piscina e auto di lusso! E quindi decise di andarsene a cercarlo altrove, magari in Europa.
Dopo aver girato alcuni Stati europei, giunse in un bel paese, che per certi versi le ricordava pure la sua Africa, quanto meno per gli abitanti. Era giunta in Italia.
La gente lì era più solare, gentile, e non aveva in mente solo il lavoro. Tutti gli uomini, ad esempio, le proponevano di diventare il suo principe azzurro, magari anche solo per una sera…
Questa novità che all’inizio le sembrava strana, col tempo cominciò a piacerle molto.
Infatti, riceveva così un sacco di regali, e trascorreva serate sempre in posti diversi. Certo, il fatto che ci fossero in giro così tanti potenziali principi azzurri, cominciò a confonderle le idee. Se ne avesse scelto uno infatti, avrebbe perso tutti gli altri… regali compresi!
Forse anche per questa sua incapacità di scegliere, finì per inguaiare molti cuori solitari, che le affibiarono l’appellativo di “Rubacuori”.
La vita scorreva per lei frenetica nel bel paese, finché un giorno qualcuno la convinse che il principe azzurro esisteva veramente, e da anni cercava la sua principessa, ma non era ancora riuscito a trovarla, nonostante ne avesse provate tante. Il suo castello era al Nord, in mezzo alla nebbia, evidentemente per una questione di privacy, a cui teneva molto.
Lei non vedeva l’ora di conoscerlo e durante il viaggio verso Nord, non smetteva di ringraziare questo vero angelo che si chiamava pure come l’arcangelo Gabriele in persona, ma per lei, era soltanto… Lele.
Quando giunsero al castello, capì subito che si trattava del principe giusto.
Il castello aveva un parco enorme, verde, illuminato, con la servitù e tutto il resto.
Lì, si trovavano un sacco di candidate principesse. Era proprio vero che il Principe aveva le idee confuse, almeno quanto lei.
Tuttavia, era convinta che avrebbe rubato il suo cuore, prima delle altre.
Mentre aspettava il principe, le si avvicinò un signore molto gentile, di una certa età ma dal aspetto curato ed in un certo qual modo… ringiovanito.
Questo signore si offrì subito di aiutarla, offrendole di terminare gli studi. Pensò che si trattasse di un modo gentile per darle dell’ignorante in pubblico, ma quando sentì la cifra, accettò l’idea che avesse ancora molte cose da imparare.
Appena questi se ne andò, riapparve l'arcangelo, sussurrandole che il principe l’aspettava nelle sue camere. Capì che era il suo momento.
Quando aprì la porta, notò nella stanza un grande letto a balconcino in stile russo,e lì, sotto le coperte c’era il principe, nella penombra. Se lo immaginava, possente, biondo e giovane.
Ma dall’oscurità una voce gerontoiatrica la sorprese e, s’arrestò. Acuito lo sguardo, intravide un vecchietto stagionato che si atteggiava da baldo giovine. Possibile che costui fosse il Principe? Possibile che in Italia i principi cercassero moglie a quest’età? Sapeva che gli uomini nel belpaese se la prendevano con calma, ma non pensava fino a questo punto.
- Vieni, siediti qui, – disse lui.
Ebbe come un déjà vu, ed il suo pensiero volò al nonno in Africa, all’incirca coetaneo del vecchietto nel letto, mentre la teneva sulle ginocchia amorevolmente.
Ma quell’invito non sembrava per lo stesso motivo. Certamente, pensò, non si poteva trattare del Principe, e quindi doveva esserci stato un equivoco. Così, rispose.
- Sire, io sono qui per suo figlio..o nipote, insomma, il principe azzurro.
Il vecchietto nel letto, sentitosi chiamare per la prima volta come un Re, si ingaglioffò, accese la luce, e Rubacuori si accorse che trattavasi dello stesso vecchio signore che le voleva pagare il corso di studi.
- Ma lei chi è? – Sbottò Rubacuori, - e dove mi trovo?!
- ARCO RE! - Rispose lui.
Rubacuori, pensando che avesse risposto alla prima domanda, replicò:
- O Re di Arco, mio Sire, chiedo scusa ma non mi sento molto bene, vorrei tornare a casa.

Mesi dopo, raggiunta la celebrità grazie ad un'interurbana, qualcuno le chiese se fra i cuori che aveva rubato c’era pure quello del nonno del principe, ma sia lei che il nonno negarono tutto, tranne i corsi scolastici a pagamento.

venerdì 4 febbraio 2011

ANSA - Sparita la mummia di Tutankamon dal Museo del Cairo

Risvegliatosi di soprassalto mentre qualcuno gli stava srotolando le bende, il Faraone Tutankamon si ritrovò nel museo egizio del Cairo, dentro una teca di vetro infranta. Resosi conto che il suo sonno era durato all’incirca 4000 anni, decise di andarsene un po’ in giro per vedere cosa era cambiato dopo così tanto tempo nel suo bel paese d’Egitto.
Uscito per le vie del Cairo, notò che la situazione non era molto diversa dall’ultima volta che c'era stato, nonostante avesse dormito per tutto questo tempo.
Per strada, c’era sempre la solita gente affamata che si lamentava perchè era aumentato il prezzo del pane. Molti di loro erano feriti e bendati a causa degli scontri e forse anche per questo nessuno notò più di tanto un tizio ricoperto di bende dalla testa ai piedi, come una mummia. Semplicemente, pensarono che fosse stato menato più degli altri.
Alcuni urlavano a gran voce il nome del Faraone del momento, che regnava ormai da circa trentanni! Era uno dei regni più longevi d’Egitto, pensò Tutankamon, che era felice di notare come dopo quasi 4000 anni, il sistema di governo fosse ancora lo stesso.

A forza di camminare, arrivò nel luogo che cercava.
Erano ancora lì dopo tutto questo tempo…
Le Piramidi. Che spettacolo! Esattamente uguali a quando le aveva viste l’ultima volta. Si sentiva proprio a casa.
Chiese ad un uomo che urlava in mezzo alla strada cosa andava cercando. Lui, sempre urlando, rispose che cercava più libertà per il popolo.
Si rese conto che stava parlando con uno schiavo, e quindi proseguì. Non era il caso che un semidio parlasse con un semiuomo. Annotò con soddisfazione, tuttavia, che anche gli schiavi erano rimasti uguali in tutto questo tempo.
Fermò quindi un tizio che sembrava un soldato sopra un grande carro in metallo, senza cavalli, e si presentò:
- Salve, sono il Faraone Tutankamon.
Il soldato vide la testa completamente fasciata ed ebbe un fremito di compassione per il poveruomo.
- Bene, bene – rispose il soldato – un nuovo Faraone è proprio quello che tutti stanno aspettando. Perché non va da quella parte, c’è il palazzo del Governo, il suo posto è lì, assieme agli altri matti.
Tutankamon arrivò al palazzo per parlare col neo Faraone.
Questi lo ricevette con tutti gli onori. Forse perché era l’unico in quei giorni che non lo cercasse per defenestrarlo. E fu così che, vista l’occasione, decise di chiedere consiglio al vecchio Faraone.
- Grande Tutankamon, le piace il mio nuovo Egitto, moderno, ricco e popoloso?
Tutankamon lo guardò e rispose:
- Si mi piace molto. E’ esattamente come lo avevo lasciato 4000 anni fa. Il popolo sempre a lamentarsi, gli schiavi che vogliono la libertà, e i soldati vigili per le strade. Ma la cosa più importante è che le Piramidi siano ancora al loro posto. A memoria per le generazioni future.
Il nuovo Faraone lo guardò basito. Non sembrava molto contento della risposta.
Nel frattempo Tutankamon lo precedette con una domanda.
- E lei Faraone, dove ha costruito la sua Piramide?
Il nuovo Faraone rimase un attimo in silenzio. Poi confessò che non l’aveva ancora costruita.
- Come?! In trent’anni non ha neanche cominciato la sua piramide? Con tutti quegli schiavi per strada a fare niente, avrebbe potuto costruire la piramide più grande d’Egitto !
- Ma veramente – fa l’altro – io non credo alla reincarnazione.
- Che c’entra? Nessuno fra cinquant’anni si ricorderà più di lei senza una piramide col suo nome. Che peccato, un regno così lungo sprecato per sempre.
Nel mentre Tutankamon si alzava, una guardia entrò nella stanza ed urlò che i dimostranti erano penetrati nel palazzo, e bisognava scappare.
- Mi chiami subito un architetto, - urlò il Faraone – e che sia il migliore…meglio se italiano!
La guardia rispose :
- E per cosa ?! Stanno arrivando!
- Bisogna costruire una Piramide, deve essere la più grande di tutte…la Piramide..più grande d’Egitto…a memoria per le generazioni…future…
La guardia arretrò, vedendolo in stato confusionale e scomparve lasciando il Faraone al suo destino, mentre i dimostranti salivano le scale.
Nel frattempo, Tutankamon tornò alle sue Piramidi, in cerca del passaggio segreto per la camera tombale. Decise che non c’era nessuna novità rilevante da osservare in quest’epoca, e quindi pensò di rimettersi a dormire per altri tre o quattromila anni, in attesa di vedere se qualcosa sarebbe cambiato, nel frattempo, in Egitto.