L'Artistoide
La temuta critica d’arte era arrivata. Gli artisti erano in visibilio. Bastava un suo parere negativo per stroncare una carriera e mandare all’aria, anni di duro lavoro e ricerca artistica.
Due anni addietro, una giovane promessa della pittura si era ridotta a fare l’imbianchino, dopo una sua stroncatura magistrale su “Pennello facile”.
Lo stesso era accaduto ad uno scultore provetto, datosi all’edilizia, dopo che le sue opere furono da lei definite “un retaggio dei castelli di sabbia eretti in spiaggia da bambino, e da cui traspare un lapalissiano complesso di edipo”.
Ma allo stesso tempo, una sua positiva recensione aveva contribuito a consacrare come artisti di grido, supposti geni, sino ad allora incompresi, autori di teschi diamantati, bimbi impiccati e tele squarciate, altrimenti rimasti forse nel limbo come provocatori e latenti serial killer, gli stessi che in seguito invece entrarono a pieno titolo nel grande calderone dell’arte contemporanea.
La critica d’arte, giunse curiosa allo spazio B27, per valutare l’opera di un neofita che si era riservato una stanza intera per la sua esposizione.
Il suo sguardo iniziò a scandagliare ogni punto, in basso, in alto, a destra e a sinistra. Infine si posò sull’artista che a braccia incrociate e sicuro di se’, se ne stava appoggiato al cartello B27 con un piede sul muro. La critica d’arte appariva perplessa. Sembrava non avesse mai visto niente del genere.
Infine, si avvicinò al neofita con fare indagatore.
- Buongiorno Signor…
- Artistico… Gianni Artistico.
- Ah, - fa la critica perplessa – nome d’arte mi verrebbe da dire, ma sono convinta che la battuta le sia già stata fatta da...
- A dire il vero no, - fa lui serioso, – dov’era la battuta?
La critica rimase silente e pensierosa, rimirando di traverso questo burbero artista. Poi riprese:
- Ok, torniamo alla sua opera. Non vorrei apparirle superficiale, ma io ho qualche difficoltà a scorgere la sua creazione.
- Non si preoccupi non è mica obbligatorio vederla, con tutto quello che c’è in giro, può andarsene anche da un’altra parte. Arrivederci.
Ma lei, sempre più colpita dall’inusuale accoglienza, insistette.
- Veramente, ci terrei a capire un po’ di più la sua linea espositiva, quindi se volesse essere così gentile da mostrarmela lei, con parole sue, gliene sarei grata.
Artistico la fissò con sufficienza.
– Cosa vuole che le dica? Eccola lì.
La critica d’arte, cominciava a sentirsi in difficoltà e pure un po’ su di giri.
- Scusi, forse sarà anche colpa mia, ma io non vedo niente in questa stanza. Se si tratta di un’opera minimalista, me la indichi per favore, perché mi è proprio sfuggita… non riesco a vederla!
- E allora? – Concluse serafico Artistico.
- Come sarebbe a dire “e allora”?
- Si vede che non c’è niente da vedere… - concluse Artistico.
- Ma… ma, mi scusi… se lei viene ad una mostra d’arte in qualità di espositore, si da per scontato che abbia qualcosa da mostrare, no?!
Artistico sorrise, scuotendo il capo.
– La sua visione è limitata ed obsoleta, almeno quanto lei, oramai. Dovrebbe cambiare lavoro.
La critica d’arte era già paonazza, ma non si diede per vinta.
- La ringrazio, lei è molto gentile. Tornando a monte, sta cercando per caso di spiegarmi che voleva rappresentare il “nulla” lasciando la stanza completamente vuota? Guardi che l’hanno già fatto suoi ben più illustri predecessori…
- No, – fa Artistico scuotendo le spalle, – io non volevo rappresentare proprio un bel niente, altro che “il nulla”…
- Mi scusi, di nuovo – insistette lei, sempre più perplessa – ma vorrebbe dirmi che è venuto sin qui, ha affittato lo spazio espositivo, e non ha fatto niente?! Ma che storia è mai questa? Qui siamo ad una mostra d’arte!
- Perché fare niente non è forse un’arte? – Commentò Artistico del tutto sereno. – Mio cugino è una vita che non fa niente. Mica è facile sa? Provi lei, se ci riesce, a stare una vita intera, senza fare niente di niente. Le potrebbe venire l’esaurimento nervoso, invece a lui no…
- Ma cosa c’entra suo cugino nullafacente adesso?! Stiamo parlando d’arte qui, si guardi intorno!
- E chi è lei per dire che fare niente, non è un’arte? – Bofonchiò Artistico.
- Io sono una critica d’arte da più di trent’anni! – Sbottò lei offesa.
- E io sono Artistico dalla nascita. C’è scritto anche sulla carta d’identità! – Concluse lui, sventolandogliela davanti agli occhi.
- Lei è un buffone! – Si mise ad urlare, paonazza. - …E manca di rispetto a tutti quelli della sua categoria!
- E chi sarebbero? Quei serial killer mancati che lei descrive come “astri nascenti” ?
L’ormai datata critica, iniziò ad avere il fiatone ed a dare segni di squilibrio.
- Lei… lei … e poi io non… ma insomma…
- Vada a casa a lavare i piatti, ascolti me… - la congedò malamente Artistico, con sdegno.
La critica d’arte, iniziò a schiumare dalle labbra ed in men che non si dica, finì lunga distesa per terra, con gli occhi spalancati ed un paio di copie della sua rivista d'arte in mano.
Artistico non fece una piega. La guardò per un attimo, esanime, supina e con la bocca spalancata. Dopo una breve riflessione, ritenne che quello potesse essere il miglior contributo mai dato dalla Critica all’arte contemporanea, e senza toccare niente, si avvicinò al cartello B27, e con un pennarello nero scrisse in stampatello il titolo dell’opera esposta:
“Natura morta”.
Poi, ripensandoci, tornò sui suoi passi ed aggiunse la frase: “La fine della Critica nell’arte contemporanea”.
Un capannello di artisti, latenti serial killer e non, si radunò a complimentarsi con lo sconosciuto collega per la sua rappresentazione veramente realistica, nonché per il suo coraggio, senza nascondere una velata soddisfazione per il soggetto ivi rappresentato, che non era mai stato particolarmente simpatico a nessuno di loro…
domenica 15 aprile 2012
domenica 4 marzo 2012
Il sapore dell’eternità
Un vecchietto, sospinto dall’inerzia del tempo, si avvicinava lento ad un bar.
Col suo incedere incerto ma determinato, rivelò presto l’intenzione di andare oltre quel rumoroso baretto frequentato da chiassosi giovani, dediti alla ricerca della linfa vitale nei fantasiosi cocktail del barista, che condivideva con loro l’età, ma non le pene del conto.
Il vecchietto se la rideva gaudioso, mentre con la coda dell’occhio si gustava quella scena, vissuta e rivissuta allo stesso modo, in lontani fasti di gioventù.
I ricordi si miscelavano nella sua mente, quanto gli ingredienti dei cocktail usati dal barista, dietro al bancone.
D’un tratto, sembrò soffermarsi un istante, quasi per tornare indietro nel tempo e rivedersi in mezzo a loro, con qualche lustro in meno, rimembrando follie acerbe di giovinezza.
La gioventù del loco, assistendo all’impietosa scena di un tripode, che col suo bastone avanzava lento tra di loro, non poté esimersi da sguardi impietosi.
Uno di questi, con una spontaneità pari solo all’irruenza dell’età, pose una domanda al vecchietto che lo fece sussultare:
- Ehi nonno, quanto pagheresti per tornare indietro alla mia età?
La frase, farcita di una risata e condita pure di commenti sgradevoli da parte dei suoi coetanei, trafisse il vecchio, che per un istante se ne stette lì, con uno sguardo sparuto, alla ricerca di una risposta.
Lo sguardo poi, iniziò ad astrarsi, perdendosi a ritroso nel tempo che fu.
In questo viaggio, sembrò immedesimarsi nel ragazzo, nei suoi pensieri e nella sua supponenza.
Infine sorrise. Parve per un attimo pensare, se valesse veramente la pena di tornare a quello stadio primordiale e ricominciare tutto da capo.
La voce uscì ferma, con tono risoluto dalle sue labbra, intrise di decenni di esperienze che non ammettevano repliche:
- E tu, quanto daresti per essere sicuro di arrivare alla mia...di età?! –
Il ragazzo rimase perplesso, al pari dei suoi coetanei.
Il vecchio, lasciò il giovane a rimuginare col bicchiere in mano, in compagnia del suo senso di superiorità verso chi non apparteneva più al suo mondo.
Un mondo talmente esclusivo, che la prospettiva stessa di uscirne, appariva al ragazzo così lontana da ritenerla impensabile, convinto com’era, che il sapore della giovinezza fosse lo stesso dell’eternità.
Col suo incedere incerto ma determinato, rivelò presto l’intenzione di andare oltre quel rumoroso baretto frequentato da chiassosi giovani, dediti alla ricerca della linfa vitale nei fantasiosi cocktail del barista, che condivideva con loro l’età, ma non le pene del conto.
Il vecchietto se la rideva gaudioso, mentre con la coda dell’occhio si gustava quella scena, vissuta e rivissuta allo stesso modo, in lontani fasti di gioventù.
I ricordi si miscelavano nella sua mente, quanto gli ingredienti dei cocktail usati dal barista, dietro al bancone.
D’un tratto, sembrò soffermarsi un istante, quasi per tornare indietro nel tempo e rivedersi in mezzo a loro, con qualche lustro in meno, rimembrando follie acerbe di giovinezza.
La gioventù del loco, assistendo all’impietosa scena di un tripode, che col suo bastone avanzava lento tra di loro, non poté esimersi da sguardi impietosi.
Uno di questi, con una spontaneità pari solo all’irruenza dell’età, pose una domanda al vecchietto che lo fece sussultare:
- Ehi nonno, quanto pagheresti per tornare indietro alla mia età?
La frase, farcita di una risata e condita pure di commenti sgradevoli da parte dei suoi coetanei, trafisse il vecchio, che per un istante se ne stette lì, con uno sguardo sparuto, alla ricerca di una risposta.
Lo sguardo poi, iniziò ad astrarsi, perdendosi a ritroso nel tempo che fu.
In questo viaggio, sembrò immedesimarsi nel ragazzo, nei suoi pensieri e nella sua supponenza.
Infine sorrise. Parve per un attimo pensare, se valesse veramente la pena di tornare a quello stadio primordiale e ricominciare tutto da capo.
La voce uscì ferma, con tono risoluto dalle sue labbra, intrise di decenni di esperienze che non ammettevano repliche:
- E tu, quanto daresti per essere sicuro di arrivare alla mia...di età?! –
Il ragazzo rimase perplesso, al pari dei suoi coetanei.
Il vecchio, lasciò il giovane a rimuginare col bicchiere in mano, in compagnia del suo senso di superiorità verso chi non apparteneva più al suo mondo.
Un mondo talmente esclusivo, che la prospettiva stessa di uscirne, appariva al ragazzo così lontana da ritenerla impensabile, convinto com’era, che il sapore della giovinezza fosse lo stesso dell’eternità.
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