Una carezza paterna le sfiorò la guancia arrossata, dove una lacrima, piccola come una goccia di rugiada, scendeva lenta. Il padre attento, l’asciugò con un dito.
Distesa sul letto della cameretta d’ospedale, per la prima volta tutta per lei, prese quel dito avvolgendolo con la sua piccola mano, e lo strinse forte, mentre un sorriso le increspava le gote, scoprendo alcuni denti ancora non del tutto cresciuti, che la rendevano così buffa ed irresistibile a Papà.
Con un gioco di sguardi si capirono al volo, come sempre. Del resto non vi era alternativa.
Silvia vide le labbra del Padre muoversi disegnando parole che leggeva solo lei. Non era certa di aver compreso ma ricambiò con un altro generoso sorriso che fece arrossire, stavolta, non solo lei.
Da circa un anno il suo gioco preferito era diventato leggere i fumetti dei grandi che le parlavano compiendo smorfie esagerate, quanto inutili, e che lei immaginava crearsi a lato delle loro labbra, come fossero quelli scritti nei fumetti dei suoi eroi preferiti.
La realtà era divenuta un gioco da quando aveva smesso di sentire i suoni, le voci, e tutto il resto.
Un gioco che non finiva mai.
Ma non era che l’inizio.
Quando un giorno il cielo si annuvolò, Silvia attese il sereno, paziente e giocosa come sempre. Ma al posto del sereno giunse una notte infinita.
Si ricordò allora di una favola che Papà le raccontava sempre, e che come tutte le cose che aveva sentito, continuava a ripetersi, ricreando un mondo sonoro dentro di se.
In quella fiaba, lui le aveva narrato di questo nuovo gioco, più e più volte. Un gioco molto lungo, in cui il mondo avrebbe fatto finta di non parlare più con lei. E lei avrebbe dovuto resistere, perché chi parlava per primo avrebbe perso.
In seguito, qualcuno avrebbe spento la luce. Ma anche qui non doveva preoccuparsi, perché Papà sarebbe sempre stato al suo fianco, e anche se non poteva più sentirlo, né vederlo, avrebbe sempre potuto farsi abbracciare tutte le volte che voleva, ed ascoltare il battito del suo cuore, che la faceva tanto sorridere.
In quel nuovo mondo senza più eco né immagini, Papà si inventava sempre nuovi giochi e le stava sempre vicino.
Lei, riusciva a muoversi nella stanza anche senza vedere. Tutto era chiaro nella sua mente.
Il gioco tuttavia non era finito. E Silvia lo sapeva. La parte più difficile doveva ancora venire.
Nella fiaba di Papà, un giorno lei avrebbe perso la voglia di correre, e di camminare. Ed anche se le sembrava quasi impossibile, avvenne proprio così.
Nel grande letto dell’ospedale, le erano rimaste solo le carezze di Papà.
Non ne poteva più di quel gioco. Decise di smettere e provò a gridare, aprire gli occhi e ricominciare a correre. Ma non ci riuscì.
A quel punto un fiume di lacrime silenziose, scese dal suo viso. Ma i baci di Papà erano lì, ad asciugarle, una ad una. Un bacio per ogni lacrima.
Dentro di lei sapeva, che tutto questo, non sarebbe durato a lungo.
Nella sua fiaba, Papà le disse che un giorno con un dito le avrebbe scritto qualcosa sulla pelle, e lei avrebbe dovuto indovinare. Questo voleva dire anche che era giunta la fine del gioco.
Silvia ormai, non aveva più voglia di giocare, né di piangere, aspettava solo la fine.
Senti il dito di Papà che disegnava grandi lettere sulla sua schiena, ed accennò un sorriso. Indovinò al primo colpo cosa lui le scrisse, ma lasciò che lo facesse ancora, molte volte.
Infine rispose nel loro linguaggio, per confermare che aveva capito e che avrebbe tenuto il segreto.
Strinse forte il dito del Babbo, con le ultime forze che le rimanevano, sino a quando lasciò la presa e scoprendo il suo dolce sorriso, un’ultima volta, smise di giocare per sempre.