Una pagina bianca.
La penombra del lume di candela toglieva a quel foglio bianco il suo naturale candore, conferendogli al tempo stesso un tepore romantico, ma non per questo meno assillante.
Se ne stava lì, a fissarlo, con la penna d’oca in mano, intrisa di inchiostro ormai rinsecchito dal tempo. La sua mano si librava a mezz’aria, reggendo quello strumento un tempo appartenuto ad un volatile, ed ora riciclato per eternare un pensiero su un foglio di carta, con l’ausilio di un inchiostro nero indelebile.
Ma nessun pensiero era scritto. E neppure una sola parola.
Il foglio continuava a fissarlo, vuoto ed irriverente.
Lo scrittore, si sentiva come quel foglio, dal quale non voleva emergere più nulla.
Il suo desiderio di vedere apparire delle parole, si rifletteva sulla carta ingiallita dal tempo e dalla luce fioca. Ma nulla accadeva da sé.
Poteva essere un foglio così assillante? Se ne stava immobile sullo scrittoio, vacuo ed inutile. Quella vista lo tediava giorno dopo giorno, sino al tormento.
Un tempo su quella carta, scorreva un fiume nero. Parole intrecciate l’una all’altra, a comporre un nido di storie, dal quale traboccavano idee, pronte ad essere immortalate l’una di seguito all’altra.
Ora, su quel deserto giallastro, non vi era più vita, al pari che dentro di lui.
Da alcuni mesi, era solo il tempo a scorrere invece dell’inchiostro, trasportandolo sempre più verso il delirio e la follia.
Un microcosmo composto da un foglio, una penna e se stesso, dentro il quale si sentiva imprigionato.
Avrebbe dato anche la vita per trovare una parola in quel universo silenzioso.
Istante dopo istante, l’ansia si alimentava di se stessa.
Se qualcuno avesse potuto sentirlo, se le parole un tempo sue alleate ed amiche, tornassero ad aiutarlo in questo momento terribile.
Perché lo avevano abbandonato anche loro? Se solo potessero…
Il sonno lo rapì. Ma nulla mutò nella stanza, dove già regnava l’assoluto silenzio.
Tlic.
Un rumore lo tolse da quel sonno leggero.
Una goccia nera si era mossa dal pennino ed era scivolata in basso.
Precipitando sul foglio, si spalmò tutto intorno, in un cerchio. Tremava sotto la luce del lume. Quella goccia che avrebbe dovuto essere inanimata, fremeva e si contorceva.
Si allungava. Stava prendendo forma da sé.
Senza che alcuno l’aiutasse, quella timida creatura si tramutò in un insieme di lettere, e si fissò sulla superficie vuota, ancora illuminata dalla tenue luce del lume.
G O C C I A.
Questa parola si era insediata su quel foglio, nell’istante in cui una goccia d'inchiostro, si staccò dal pennino.
Eppure lui era sicuro di non averla scritta. Assolutamente certo.
La vedeva, la sfiorava, già del tutto asciutta ed assorbita dalla carta.
Non stava sognando. Era la prima parola dopo molto tempo.
Felice ma al tempo stesso stupito non riusciva a connettere.
Con un leggero sorriso sulle labbra, appoggiò la penna d’oca sul foglio e sollevò lo sguardo.
Quando lo riabbassò, si portò le mani agli occhi e li massaggiò ferocemente, nel tentativo di far sparire le altre parole che stavano lì ad attenderlo.
P E N N A D' O C A.
Assurdo.
Il pennino era sparito. Al suo posto sul foglio erano apparse dal nulla queste tre parole. Ben scritte, anche se con una calligrafia che non era certo la sua.
Credeva che la peggior nemica di uno scrittore fosse l'ansia, ma quella visione lo turbò ben al di là delle sue paure.
La sorpresa lo lasciò immobile.
Destatosi dal torpore, prese in mano quel foglio. Lo guardò in controluce.
Non aveva niente di diverso da prima, tranne quelle parole apparse dal nulla. Lo ripose, basito, con una sorta di rispetto, forse scaturito dal timore dell’ignoto.
Nel momento in cui tolse la mano dal foglio, una nuova scoperta lo lasciò senza fiato.
In un angolo, lo stesso che aveva usato per impugnarlo, ora stava scritta una parola di traverso che andava a spegnersi proprio nel vertice dell’angolo in questione.
P O L L I C E.
Esattamente nel punto dove aveva posto il suo dito, ora stava scritto il nome della cosa che l’aveva toccato.
Questo ragionamento lo colse impreparato.
Ripensò a quanto accaduto sino ad allora.
La goccia di inchiostro caduta sul foglio. La penna d’oca. Ed ora il pollice.
Era delirante cercare un nesso logico in quel contesto di assurdità. Eppure, se mai ce ne fosse stato uno, appariva piuttosto evidente.
Il contatto.
Nel momento in cui rimuginava su questa scoperta, e cercava dentro di se un motivo per tutto questo, portò istintivamente di nuovo il suo pollice sullo stesso punto e quasi a voler cercare una conferma dell’assurdo, girò il foglio e, trasalì.
Nel retro dello stesso, non poteva esserci che una parola a rigor di logica, scritta nell’angolo in basso a sinistra.
I N D I C E.
E così infatti era scritto.
Immortalate nel nero indelebile, queste parole stavano lì, a riprova di quella situazione surreale.
Ma cosa importava in fondo della realtà? Ora, dopo giorni vacui e disperati, le parole erano tornate a popolare quel deserto bianco.
La bramosia lo spinse a continuare, più forte del dubbio e della paura dell’ignoto.
Gettò alla rinfusa su quel foglio fertile e misterioso gli oggetti che stavano a portata di mano. Il suo respiro si fece affannato, mentre il cuore gli scuoteva il petto.
Molte parole si aggiunsero alle precedenti, sparpagliate su quel foglio, con i nomi degli oggetti che vi aveva posto sopra.
L’emozione era grande.
Ma non abbastanza da soddisfarlo. Sentiva che poteva osare di più.
La mano tremante si pose su quel magico strumento che produceva parole invece che suoni.
Si trattava in fondo di capire come suonarlo per produrre qualcosa di più che semplici note nere poste su di esso alla rinfusa. In fondo, lui sentiva che lo strumento avrebbe potuto suonare anche una sinfonia, completa, unica, sorprendente.
Doveva solo scoprire il suo linguaggio, per raggiungere la meta.
Premette il palmo della mano aperta, su quel foglio, quasi a voler infondere su di esso una benedizione divina.
Non sapeva tuttavia ancora se si trattasse del divino o del suo antagonista.
Ma la cosa, al momento per lui era irrilevante. Gli interessava il risultato, e per questo era pronto a donare tutto se stesso.
Le parole iniziarono a scorrergli dentro, mentre gli occhi chiusi gli impedivano di vedere cosa accadeva la fuori.
Molte idee si affollavano nella sua mente, come strumenti e suoni alla ricerca di un’aria comune.
Non volle ancora aprire gli occhi, eppure sapeva che qualcosa stava accadendo.
Una storia sgorgava dal profondo del suo ego più recondito. La storia che forse non aveva mai osato nemmeno pensare e che ora appariva chiara e vivida nella sua mente.
Nell’istante in cui riaprì gli occhi, vide una foglio impregnato di parole sino all’orlo. Era un racconto, anzi, il prologo al romanzo che da sempre avrebbe voluto scrivere ma che mai era riuscito nemmeno ad iniziare.
La sua fantasia galoppava, mentre un nuovo foglio bianco sostituiva il precedente che veniva riposto a lato, per essere il primo di molti suoi pari. Assieme, avrebbero formato l’opera che lui, al pari di altri autori, avrebbero identificato come il "romanzo della vita".
Una frase questa che sarebbe meglio non pronunciare mai prima del tempo.
Dalla sua mano sgorgavano fiumi di parole che riempivano pagine e pagine, mentre la sua mente sognava ora, ad occhi aperti, quella storia che portava con se da sempre.
Il tempo passava. Minuti, ore, forse giorni. Non lo sapeva più.
Egli continuava e continuava senza fermarsi, sospinto da un desiderio irrefrenabile.
Non dormiva da giorni. Non mangiava. E neppure si dissetava. A malapena si ricordava di respirare.
La bramosia di vedere la fine di quello che lo assillava da sempre, era più forte di ogni cosa.
Sentiva che la fine era vicina. E non si trattava solo della fine del romanzo.
Le forze lo abbandonavano, ma ancora poche pagine rimanevano da scrivere e tutto sarebbe stato compiuto.
Un mattino, mentre la tenue luce del lume lasciava il posto al chiarore dell’alba, il manoscritto era uscito completamente dalla mano distesa e sfinita sul tavolo dello scrittoio.
Una sensazione di appagamento lo pervase portandolo a realizzare in quel istante che tutto era compiuto.
Il suo destino, con quel romanzo giungeva al termine, forse prima del tempo stabilito.
La bramosia, l’ansia di voler vomitare tutta quell’opera in un tempo così breve l’avevano consumato, esaurendo con essa la vita che gli rimaneva da vivere.
Ebbe l’impressione che se non l’avesse voluto così avidamente, la sua vita sarebbe stata molto più lunga. Tuttavia, l’opera di una vita era scritta, il suo desiderio esaudito. Ma il tempo che gli spettava ancora di vivere era stato regalato a chi questo suo desiderio aveva esaudito.
Ancora non sapeva di chi si trattasse. Forse il maligno si era impossessato di lui in quel momento di debolezza, forse il divino aveva deciso di esaudire un suo desiderio prima che accadesse l’irreparabile, ed una vita venisse spesa per niente.
Ebbe la sensazione, nell’istante in cui si lasciò andare, che presto avrebbe saputo chi doveva ringraziare per tutto questo.
Il manoscritto ora se ne stava lì, ben sistemato e pronto ad essere letto, da chi avesse scoperto per primo quel uomo, che giaceva inerte su una sedia, con un sorriso spento a disegnargli il viso. Un uomo che si diceva scrittore... e che grazie a quell’opera lo divenne... postumo.