Sono nato più di cento anni fa, nel 1900, e forse nella mia lunga vita ho visto più cose di quante avrei dovuto vederne, anche perché in realtà, ho vissuto almeno due volte.
I miei primi 45 anni li ho passati lassù, in cima alla testa di una splendida signora. Ricordo che mi accarezzava, mi lavava, mi pettinava e mi metteva sempre un sacco di cappelli colorati. Ma io sono sempre stato un po’ invidioso. In fondo ero solo un capello di una donna, invece mi sarebbe proprio piaciuto essere un bel.. cappello!
Primo, perché ho sempre desiderato essere al centro dell’attenzione, in un modo o nell’altro. Secondo, perché i cappelli fra di loro vanno sempre d’accordo, al contrario di noi capelli, purtroppo.
Per quanto mi riguarda io non ho mai avuto niente da ridire con gli altri capelli, che fossero rossi, biondi, o anche grigi.
Ma un giorno i rapporti cominciarono a peggiorare. I biondi si misero in testa di essere migliori degli altri. E tutti quelli che avevano i capelli neri come me, furono messi da quelli che avevano i capelli biondi, dentro ad un campo angusto e recintato. Da allora i biondi mi sono sempre stati poco simpatici, anche perché cominciarono a darsi molte arie, e a farci pure i dispetti.
Arrivarono perfino a tagliarci, e non c’è niente di peggio per un capello che essere tagliato. Ci tagliarono così corti che sembravamo dei capelli da uomo.
E’ stato proprio un brutto periodo, tanto che ad un certo punto desiderai perfino di essere nato biondo, un po’ per invidia forse, un po’ per capire cosa si provava a stare dalla parte dei biondi.
Già in parecchi erano passati coi biondi. Forse per stare un po’ meglio, ma non erano certo ben visti dai propri ex compagni, forse un po’ invidiosi anche loro. In quel periodo tutti avrebbero voluto essere nati biondi.
Un giorno, il mio desiderio fu esaudito, e toccò a me. Ammetto di essere stato un po’ fortunato nella mia lunga vita, infatti i miei desideri si sono sempre avverati, seppur nelle forme più svariate…
Era un giorno d’inverno del 1945, e dissero che ci avrebbero portati in un posto dove ci sarebbe stata più libertà, ed infatti all’entrata c’era perfino un cartello che diceva che lavorare li dentro faceva sentire molto più liberi.
Non so cosa sia andato storto, ma proprio quel giorno così fortunato, mi son sentito male, quasi fossi morto all’improvviso. Da allora non ho più rivisto la bella signora mora sulla quale ero stato per 45 anni. Io fui messo insieme ai capelli di migliaia di altre persone, come se d’un tratto avessero deciso di tagliarsi tutti i capelli a zero.
Ma non era che l’inizio. Invece di essere buttati nella spazzatura, finimmo in un’industria, dove tramite un processo un po’ doloroso, fummo mischiati e compattati l’uno con l’altro, ed alla fine dissero che eravamo diventati una cosa nuova, chiamata “feltro”. Io avevo sentito parlare di questo materiale fatto con peli di animali ed altro, ma non pensavo si potesse fare anche con i capelli. Questi uomini hanno sempre un sacco di fantasia.
E men che meno immaginai che assieme a molti altri capelli, saremmo diventati addirittura un cappello, proprio come avevo sempre sognato. Un bel cappello di Feltro grigio con un’aquila ed una croce uncinata davanti! Un altro colpo di fortuna.
Doveva essere veramente carino da vedere, perché molti altri uomini che non lo portavano, alla sua vista rimanevano sempre impietriti e senza parole.
A quei tempi ero un po’ confuso. Stavo sempre allo stesso posto di prima, vale a dire su una testa, ma potevo passare da una all’altra con estrema facilità. Quello era un momento in cui si cambiava testa molto spesso. C’era infatti una cosa che gli uomini chiamavano “guerra” e quando uno cadeva per terra, io finivo sulla testa di un altro.
Ma il fatto più curioso è che stavo sempre sulla testa di quelli con i capelli biondi, e così, avevo visto avverarsi anche questo desiderio, ovvero provare che gusto c’era ad essere biondo. Tuttavia, rimasi un po’ deluso, perché questi biondi non mi sembravano un gran che. Anzi, i loro bei capelli finivano sotto terra, mentre io ero diventato uno splendido cappello di Feltro. Insomma, non era poi questa gran fortuna essere nati biondi.
Un bel giorno mi attaccarono sopra delle mostrine nuove ed un paio di lettere sibilline, e da allora diventai un cappello davvero importante. Tutti mi portavano rispetto, anche i biondi, e mi salutavano sbracciandosi a più non posso. Fu proprio una bella rivincita.
Poche settimane più tardi, andai in gita in una città enorme dove c’erano un sacco di aquile e di croci come quelle che portavo io. Sentivo che dicevano che li c’era l’uomo più importante di tutti, niente poco di meno che il grande capo di tutti i biondi!
Io ero molto emozionato, mi immaginavo di vedere un grande uomo con i capelli lunghi e biondi, come l’oro! Ma quando lo vidi provai un’enorme sorpresa. Il capo dei biondi aveva i capelli neri esattamente come me! Non ci stavo capendo più niente.
Il grande capo, che in realtà era piuttosto piccolo, sembrò eccitarsi come un matto quando gli dissero che il cappello che gli stavano mostrando, era fatto con i capelli di quelli mori come lui, e volle tenermi con se a tutti i costi. Io lo capivo benissimo poverino, chissà come si sentiva solo, moro com’era, in mezzo a tutti quei biondi. E così tornavo a stare sulla testa di qualcuno con i capelli neri come me, almeno ci saremmo tenuti compagnia.
Le giornate con lui erano molto noiose, passava tutto il tempo a parlare di come far diventare tutti biondi, cercando inoltre di eliminare quelli che non lo erano.
A quanto pare, gli piacevano di più i biondi. Forse non si rendeva conto che di questo passo sarebbe presto rimasto l’unico con i capelli scuri.
Era talmente convinto delle sue idee che una sera, mentre eravamo da soli in uno stanzino dentro ad un bunker, forse sicuro che ormai non ci fossero altri con i capelli scuri in circolazione, pensò di completare l’opera togliendosi di mezzo pure lui. Prese la pistola e si sparò.
Rimasi in un armadio per parecchio tempo. E quando uscii, vidi che in realtà c’erano ancora in giro molti uomini con i capelli scuri. A quanto pare il grande capo dei biondi, aveva fatto male i conti.
Io intanto stavo in un museo ma avrei tanto voluto essere messo in una di quelle vetrine dove la mia bella signora mi portava quando ero giovane, a provare tutti quei bei cappelli.
E dopo qualche tempo, anche questa volta il mio desiderio fu esaudito.
Un bel giorno mi riportarono nel posto dove c’era scritto che lavorare li dentro ti faceva sentire più libero, e fui messo in una bella vetrina sopra un manichino, vicino a milioni di altri capelli, proprio com’ero io un tempo. Ce n’erano talmente tanti che riempivano una stanza intera.
E così, sono di nuovo al centro dell’attenzione. Ogni giorno ci sono migliaia di visitatori che mi guardano, e tutti sembrano increduli quando scoprono che da una ciocca di capelli si possa ricavare un cappello così bello.
Tuttavia, nessuno pare sia intenzionato ad acquistarmi. Sembra infatti che non vadano più tanto di moda i cappelli fatti con i capelli degli altri.
Link sul tema... Film "La strada di Levi"
http://www.mymovies.it/dizionario/recensione.asp?id=43680
lunedì 30 aprile 2007
mercoledì 25 aprile 2007
Tutto per colpa degli sms…
Solito grande litigio.
Ma la colpa di chi era?
Come spesso accade, era difficile dirlo. Lei reclamava almeno un sms al giorno. Lui disse che così si sarebbe sentito con un telecomando nel culo. Non poteva certo fare tutto quello che voleva lei!
Un sms al giorno, per dirle cosa? Come stai ?! Cosa fai? Ma cosa diavolo è poi questo sms?
Lui non aveva mai avuto il “cellulare”. Un telefono portabile pronto a suonare in ogni momento.
Già rompeva le balle quello di casa, ed ora c’era pure da portarsi dietro l’altro, per poi dare l’impressione di parlare da soli per strada.
Lui non era un tipo all’antica. Semplicemente era stato dentro per più di dieci anni e uscendo aveva scoperto che c’era questa novità.
L’aveva già visto in tv. Ma da dentro la cella il mondo esterno appariva ovattato, un’immagine irreale, maggiormente vicina alla fantasia mano a mano che passavano gli anni. E tutti questi nuovi aggeggi sembravano usciti da un film di fantascienza.
“Se non mi mandi un sms almeno una volta al giorno, vuol dire che non mi pensi!” Aveva detto lei.
Si erano visti la sera prima… si sarebbero rivisti l’indomani, quindi oggi lei poteva anche vivere senza avere sue notizie, o no?
“Ovviamente no!” Replicò lei.
Mentre stava dentro, sognava solo due cose: le donne e la libertà. Adesso si era reso conto che poteva averne solo una alla volta. Questa storia d’amore era una nuova prigionia. Avere il cellulare era come essere agli arresti domiciliari: dovevi essere sempre reperibile.
Al suo compleanno lei gli regalò un videofonino. Così adesso poteva vedere anche dove stava. Gli sembrava di essere al Grande Fratello, l’unica popolazione carceraria che si dispera quando deve lasciare le quattro mura. Dopo due giorni disse che gli era caduto nel cesso mentre si tirava su le brache.
Da quel giorno sembrò che anche la loro storia d’amore fosse finita laggiù con il videofonino.
Tutto per colpa degli sms.
Un giorno ne ricevette uno con una splendida frase d’amore, ma non era per lui, era per un altro. E c’era pure scritto dove lei l’avrebbe aspettato.
E fu così che dopo tredici anni per tentato omicidio, se ne fece altri trenta per omicidio riuscito.
Trent’anni spesi a pensare che è stato tutto colpa degli sms.
http://blog.sms-pronti.com/
Ma la colpa di chi era?
Come spesso accade, era difficile dirlo. Lei reclamava almeno un sms al giorno. Lui disse che così si sarebbe sentito con un telecomando nel culo. Non poteva certo fare tutto quello che voleva lei!
Un sms al giorno, per dirle cosa? Come stai ?! Cosa fai? Ma cosa diavolo è poi questo sms?
Lui non aveva mai avuto il “cellulare”. Un telefono portabile pronto a suonare in ogni momento.
Già rompeva le balle quello di casa, ed ora c’era pure da portarsi dietro l’altro, per poi dare l’impressione di parlare da soli per strada.
Lui non era un tipo all’antica. Semplicemente era stato dentro per più di dieci anni e uscendo aveva scoperto che c’era questa novità.
L’aveva già visto in tv. Ma da dentro la cella il mondo esterno appariva ovattato, un’immagine irreale, maggiormente vicina alla fantasia mano a mano che passavano gli anni. E tutti questi nuovi aggeggi sembravano usciti da un film di fantascienza.
“Se non mi mandi un sms almeno una volta al giorno, vuol dire che non mi pensi!” Aveva detto lei.
Si erano visti la sera prima… si sarebbero rivisti l’indomani, quindi oggi lei poteva anche vivere senza avere sue notizie, o no?
“Ovviamente no!” Replicò lei.
Mentre stava dentro, sognava solo due cose: le donne e la libertà. Adesso si era reso conto che poteva averne solo una alla volta. Questa storia d’amore era una nuova prigionia. Avere il cellulare era come essere agli arresti domiciliari: dovevi essere sempre reperibile.
Al suo compleanno lei gli regalò un videofonino. Così adesso poteva vedere anche dove stava. Gli sembrava di essere al Grande Fratello, l’unica popolazione carceraria che si dispera quando deve lasciare le quattro mura. Dopo due giorni disse che gli era caduto nel cesso mentre si tirava su le brache.
Da quel giorno sembrò che anche la loro storia d’amore fosse finita laggiù con il videofonino.
Tutto per colpa degli sms.
Un giorno ne ricevette uno con una splendida frase d’amore, ma non era per lui, era per un altro. E c’era pure scritto dove lei l’avrebbe aspettato.
E fu così che dopo tredici anni per tentato omicidio, se ne fece altri trenta per omicidio riuscito.
Trent’anni spesi a pensare che è stato tutto colpa degli sms.
http://blog.sms-pronti.com/
domenica 22 aprile 2007
Solo un pensiero
"Cosa posso raccontarti su tua madre?" Disse il padre, al figlio mai nato.
"Quando ero giovane, e non la conoscevo ancora, guardavo sempre tua madre attraverso il finestrino dell'auto, ammaliato dai suoi splendidi occhi blu. Lei si muoveva sinuosa come nessun'altra, la bocca spesso socchiusa, sensuale, dalla quale traspariva una lingua rossa come il fuoco. Mi faceva morire sai?
Passava ogni mattina alla stessa ora, sempre in compagnia di un uomo alto che la trattava in malo modo.
Dove andassero è difficile dirlo. Io partivo spesso a quell'ora con Marzia per andare all'Università. Lei lavorava li, come me del resto. Marzia stava in ufficio mentre io ero adibito ad un ruolo un po' più di routine, da guardiano. Cosa ci fosse di importante all'Università per metterci qualcuno di guardia, non l'ho mai capito, ma del resto io sapevo fare solo quello e quindi mi sono adattato.
Una mattina però qualcosa andò diversamente. Marzia aveva lasciato il finestrino della Punto giù del tutto, invece dei soliti dieci centimetri. Piccoli segni del destino.
In quel momento passò Lei, come tutte le altre mattine.
L'uomo con il quale stava, si fermò di colpo a parlare con una biondina che sembrava non vedesse da una vita e si disinteressò di tua madre, che continuò per la sua strada.
Ricordo d'aver pensato: "Adesso o mai più".
Fu così che decisi di uscire dall'auto e di seguirla. Ricordo che Marzia mi urlò dietro qualcosa del tipo: "Dove vai? Guarda che ti mollo qui!"
Amen.
Quando girò l'angolo, io ero già a pochi passi da lei. Si voltò. Ci fissammo negli occhi.
Non ci fu neanche bisogno di parlare. Facemmo l'amore lì, sul prato, e tra l'altro neanche tanto al riparo da occhi indiscreti. Parecchi passanti ci guardarono e sorrisero. Sembravano contenti per noi.
Eravamo quasi alla fine, quando dall'angolo spuntò il suo uomo che aveva mollato la biondina. Ci vide ed iniziò ad urlare come un indemoniato. Correva verso di noi dimenando in aria una catena che teneva in mano.
Lei si spaventò e si mise a correre in tutt'altra direzione. Ed accadde l'irreparabile.
Attraversò la strada di corsa mentre i suoi occhi blu continuavano a fissarmi anche mentre scappava. Fu così che finì sotto un autobus. Non restò molto di lei.
Il suo uomo si mise a piangere come un bambino, in ginocchio, a due metri scarsi dal suo corpo. Io preferii andarmene. Avevo già visto altre volte quello spettacolo. E non valeva la pena.
Ogni tanto, ripenso ancora a quel momento, a noi due, mentre facevamo l'amore. A quello che sarebbe stato se fosse rimasta viva. Forse ora tu esisteresti figlio mio, non saresti solo un pensiero di ciò che sarebbe potuto essere ma non è stato. Ed io, te e tua madre, correremmo felici nei prati ed io potrei leccarti di tanto in tanto. Ma forse non saresti neanche nato. Tua madre aveva il diabete. Si vedeva dai suoi occhi blu e probabilmente sarebbe morta prima che tu nascessi. Forse era destino che tu rimanessi solo un pensiero. In fondo, non ti avrei mai visto crescere e tu saresti stato l'ennesimo bastardo abbandonato sull'autostrada prima delle ferie. Insomma, la solita storia di una vita da cani."
Link sul tema:
http://www.boxerdelgranmogol.com/Versione%20Italiana/Home_Italiana.htm
"Quando ero giovane, e non la conoscevo ancora, guardavo sempre tua madre attraverso il finestrino dell'auto, ammaliato dai suoi splendidi occhi blu. Lei si muoveva sinuosa come nessun'altra, la bocca spesso socchiusa, sensuale, dalla quale traspariva una lingua rossa come il fuoco. Mi faceva morire sai?
Passava ogni mattina alla stessa ora, sempre in compagnia di un uomo alto che la trattava in malo modo.
Dove andassero è difficile dirlo. Io partivo spesso a quell'ora con Marzia per andare all'Università. Lei lavorava li, come me del resto. Marzia stava in ufficio mentre io ero adibito ad un ruolo un po' più di routine, da guardiano. Cosa ci fosse di importante all'Università per metterci qualcuno di guardia, non l'ho mai capito, ma del resto io sapevo fare solo quello e quindi mi sono adattato.
Una mattina però qualcosa andò diversamente. Marzia aveva lasciato il finestrino della Punto giù del tutto, invece dei soliti dieci centimetri. Piccoli segni del destino.
In quel momento passò Lei, come tutte le altre mattine.
L'uomo con il quale stava, si fermò di colpo a parlare con una biondina che sembrava non vedesse da una vita e si disinteressò di tua madre, che continuò per la sua strada.
Ricordo d'aver pensato: "Adesso o mai più".
Fu così che decisi di uscire dall'auto e di seguirla. Ricordo che Marzia mi urlò dietro qualcosa del tipo: "Dove vai? Guarda che ti mollo qui!"
Amen.
Quando girò l'angolo, io ero già a pochi passi da lei. Si voltò. Ci fissammo negli occhi.
Non ci fu neanche bisogno di parlare. Facemmo l'amore lì, sul prato, e tra l'altro neanche tanto al riparo da occhi indiscreti. Parecchi passanti ci guardarono e sorrisero. Sembravano contenti per noi.
Eravamo quasi alla fine, quando dall'angolo spuntò il suo uomo che aveva mollato la biondina. Ci vide ed iniziò ad urlare come un indemoniato. Correva verso di noi dimenando in aria una catena che teneva in mano.
Lei si spaventò e si mise a correre in tutt'altra direzione. Ed accadde l'irreparabile.
Attraversò la strada di corsa mentre i suoi occhi blu continuavano a fissarmi anche mentre scappava. Fu così che finì sotto un autobus. Non restò molto di lei.
Il suo uomo si mise a piangere come un bambino, in ginocchio, a due metri scarsi dal suo corpo. Io preferii andarmene. Avevo già visto altre volte quello spettacolo. E non valeva la pena.
Ogni tanto, ripenso ancora a quel momento, a noi due, mentre facevamo l'amore. A quello che sarebbe stato se fosse rimasta viva. Forse ora tu esisteresti figlio mio, non saresti solo un pensiero di ciò che sarebbe potuto essere ma non è stato. Ed io, te e tua madre, correremmo felici nei prati ed io potrei leccarti di tanto in tanto. Ma forse non saresti neanche nato. Tua madre aveva il diabete. Si vedeva dai suoi occhi blu e probabilmente sarebbe morta prima che tu nascessi. Forse era destino che tu rimanessi solo un pensiero. In fondo, non ti avrei mai visto crescere e tu saresti stato l'ennesimo bastardo abbandonato sull'autostrada prima delle ferie. Insomma, la solita storia di una vita da cani."
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http://www.boxerdelgranmogol.com/Versione%20Italiana/Home_Italiana.htm
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